Il suono del mondo

Mia piccola ammaliatrice non respingere il mio amore
Sappi comunque che non ti amo. E se ti hanno cantata
I poeti di ogni tempo, se ti hanno celebrata
Sulle loro cetre dalle corde di crine
Sappi dunque che i poeti sono tutti segaioli
Altrimenti non si lascerebbero
Chiamare poeti. Posa
La tua mano delicata d'acqua e di vento
- Non ti dicevano così i buffoni? -
Sulla mia fronte. La febbre
La temperatura naturale di un corpo
Che orina sull'alloro e dispregia il fruscio
Dello spirito che esala. Posa
Il tuo capezzolo sulle mie labbra
E lascia che la mia lingua lecchi silenziosa
Il vaso del tuo brivido. Piccola ammaliatrice
Con le poesie non si raggiunge l'orgasmo
Neppure i babbei che intorno a te rovesciano
Gargarismi di parole. Ascolta
Il muggito, il fragore, il pianto:
Di simili suoni è fatto il mondo. Ascolta
Il gracchiare - o il ruggito
Del leone che è il mondo. Ascolta
Il rombo dell'oceano; il rombo;
Non il canto spensierato dei pescatori.
Genesi
Quanto più procedevo nella luce
Impallidivano i colori
Si addensavano, vorticavano come un disco
Diventavano
Quel colore che non era più
Colore.
Nel cuore della notte un diramarsi di strade
Un aprirsi a nuove combinazioni
Dissi "buio" ed ecco generata
La terra con le sue piante i suoi animali
Invisibili enormi delicati
Che mi somigliano.
Planetario personale
Respiravo tanta oscurità, che dal mio
Espirare scaturivano stelle.
Si diffondevano nell'etereo infinito
Fulgide formazioni
Volti parole città segreti
I timori più intimi
Nella volta interna di un nuovo
Planetario mondo.
Tu là, Io là
Costellazioni del sangue
Galassia dello sperma
Fonda simboli grovigli particolari
Che solo la conoscenza immaginazione
Sa interpretare.
E da un punto all'altro il tempo scorre
Ampio fiume che irriga
Con le cose finite quello che verrà
Ciò che dorme tranquillo dentro ognuno
- Atti in embrione
Pene appena nate -
Serpe che attorciglia il mio misero universo
Serpe che morde la sua grassa coda.
Nostalgia del presente
Ho nostalgia del presente che vivrò.
(L'attesa si accorda con la memoria:
Entrambe falsificano quanto più possono
La sventurata realtà. Lo vedi.)
Quali eventi macchineranno di nuovo
La mia partecipazione? Quale variopinto
Straccio di passione
Imiterà di nuovo la porpora?
Mi stupisce
A che velocità si genera la noia. Se conoscessi
La matematica dei sentimenti correrei
Immobile come Achille (l'idea di Zenone)
Più lento della tartaruga della mia vita.
Non dobbiamo aver fretta.
Come osare sorpassi con il clacson
Quando davanti a te sono imbottigliati gli inferi.
Come puoi prevedere qualsiasi cosa accada,
In questo presente così remoto.
Simulazione di cinguettio
Dentro il legno un uccello asprigno
Cinguetta.
Simulazione di uccello e simulazione
Di cinguettio. Anzi è un merlo che batte insistentemente
Il becco. Piove, non ha un altro
Rifugio e sulla finestra si ode
Un tic tic, come il suono della pioggia
Ma più intenso. Ma dentro il legno
Né pioggia né finestra. Oscurità di visceri
E umori secchi che altri uccelli
Sulle foglie, sui rami,
Tempo addietro. Proprio un merlo, chissà
Come ha trovato un varco per infilarsi
Intatto
-Veliero in miniatura dal collo
Di una bottiglia -
E fa sempre tic tic e cip
Con gorgheggi
Disarticolati e
Invisibile,
Così come nel miracolo
Spesso senti apparire
Dio
tra i suoi eletti.
Nostalgia di quel presente
Mentre mi chino sulla culla di mio figlio
Per dargli un bacio, inattesa
Mi sommerge una nostalgia di lacrime per la dolcezza
Di questo istante che vivrò
Interamente,
Di questo, proprio di questo istante.
Ma è mai possibile?
Eppure lo è, a quanto pare. Giacché in un passato remoto
Un'altra poesia testimonia ancora le stesse cose.
Non è questa la nostalgia del presente? L'assoluto,
diciamo così, strazio per la distanza
che ti separa dal corpo che abbracci? L'abisso
che ti appiccica addosso
ciò che hai amato.
Ora quel presente della poesia
Ha smesso ormai da tempo di essere presente.
E così come ho ricordato
La nostalgia di quel presente,
Ho nostalgia
Di quella nostalgia.
Fossile di un suono
Sono passate due poesie e
Invisibile
Nel legno s'ode ancora
Il merlo.
Un legno di pietra, a quanto pare,
Avrà ingabbiato il suono di un uccello
Antidiluviano
Nello stadio
In cui il becco sta per
Cinguettare
Sospeso
Dal tic
Fino al ramoscello
Della cima
Il cip.
Non c'è altra spiegazione.
Mentre sugli altipiani
Ippocampi arrampicati, stelle marine
Pesci montani nel quarzo
Resine che sciolsero la loro lava
E integri
Animali piante si cullano
Nella fosca immortalità del Pleistocene.
Vedrai dunque che sarà il fossile di un suono.
Non Dio.
Né un merlo
Né un verme
Né un incurabile
cancro del legno.
Una ventriloqua memorizzazione del tic.
Un metodo per apprendere il cip.
Il ragno
Sedevo da ore nella mia noia inerte
Come chi è spossato dalle troppe cose
Che spera di aver vissuto
Nel tiepido vuoto del non pensare sedevo
Osservando un ragno che si librava.
Immaginavo che lui pensasse qualcosa
Perché scalava la sua tela ripugnante,
Restava immobile scuotendo le antenne
Lanciandosi con impeto nel vuoto.
Non vidi passare una mosca né un insetto.
Ma la caccia continuava senza preda
Con la saggezza di chi sa che occorre un'arte riso
Per afferrare l'inesistente.
Bella saggezza di un minuscolo mostro
Che in una trama sottile di saliva
Tendeva agguati all'inafferrabile.
E con grandi bocconi inghiottì infine
Le mie ore, la noia, il vuoto.
Ma con quali mezzi Fostieris persegue il suo scopo di liberare la parola? Scardinando la lingua dall'interno, riplasmandola nelle sue strutture, aprendola a nuove significazioni, come fecero i cubisti con la pittura. Fostieris scompone e ricompone la lingua, accostando i termini in modo da provocare il corto circuito che mette in moto il flusso delle emozioni. (...) La necessità di scavare negli strati successivi della lingua fino a rivelarne la verginità primigenia, restituendola alle sue suggestioni semantiche, fu a più riprese affermata anche da Elitis, ed è interessante notare la diversità degli approdi dei due poeti: mentre per Elitis, infatti, la parola poetica, una volta ricondotta alla sua purezza, ci consente di vedere l'essenza delle cose, la loro parte eterna e incorruttibile, per Fostieris la poesia può soltanto prendere atto della realtà; essa non è uno strumento per trasformare il mondo, ma il veicolo per materializzare il pensiero, e il pensiero, come recita il titolo della sua opera più recente, "appartiene al dolore". (...) Ma se la parola da sola non riesce ad esaurire l'umana necessità di esprimere le proprie emozioni e di comunicare con gli altri, occorre l'intervento del silenzio, che in Fostieris non è l'antitesi dell'espressione ma il suo lato complementare, cosi come il buio lo è della luce. La sua è una poesia di chiari e di scuri, di vuoti e di pieni, di studiate architetture sorrette dall'alternanza di suoni e di silenzi che, anziché annullarlo, scandiscono il ritmo verbale. "Il solo modo per farti ascoltare", dice il poeta in una intervista, "è sussurrare [...] La poesia è un sussurro stentoreo. [...] Il silenzio è l'ingrediente più significativo della poesia. Non si tratta di un paradosso: la poesia è fatta con grandi dosi di silenzio e piccolissime dosi di parole. Pretende che si scriva solo ciò che è realmente necessario...". (Massimo Cazzulo)
Ha pubblicato le seguenti raccolte di versi: Il grande viaggio (1971), Spazi interni o I vénti (1973), Poesia nella poesia (1977), Amore oscuro ( 1977 ), Il diavolo ha cantato a tempo ( 1981 ), Il futuro e l'imperativo della morte (1987, 1991).
Ha tradotto: Max Jacob, Consigli a un nuovo poeta; Henry Miller, Il tempo degli assassini; Boris Vian, Poesie.
Dal 1974 al 1976 ha diretto la rivista "I nea piisi" (La nuova poesia). Dal 1981 dirige, insieme con Thanasis Niarchos, la rivista "I Lèxi" (La parola).
Sue raccolte e poesie sono state tradotte in molte lingue.