
Poesia in prosa, prosa poetica, prosa in prosa, linea lombarda (o forse del Garda, o meglio comasca)... In fondo che importa, oggi, leggendo questi testi che risalgono alla fine dei Settanta, pubblicati poi nella seconda opera di Neri (Liceo, Guanda 1982), e che allora suonavano così originali? Dice molto bene Francesco Marotta a proposito di Giampiero Neri:
"Il registro, il timbro originale della sua voce, è rintracciabile in un magistrale e originalissimo connubio tra un tono ironico, di ascendenza socratica, e una oggettività scientifico-didattica che si dispiega in descrizioni minuziose, come passate a un microscopio che ne rivela finanche i più estremi particolari: particolari che locchio, educato da secoli di visioni dinsieme, e per ciò stesso escludenti dal momento che lasciano vivere un dettaglio solo a patto che rientri nella struttura piana e immediatamente decodificabile dellimmagine -, spesso tralascia, come elementi affatto marginali, come schegge refrattarie, impazzite, che non sedimentano. Ed ecco che la poesia, in questi termini, nei suoi termini, diventa, e si pone, non come il segno distintivo di unesperienza finalizzata a trascendere il dato concreto, ma come traccia ed espressione, attraverso il particolare, di unoltranza allinterno di una pluralità di sensi (...)
La rinuncia, nella costruzione del corpo vivo del testo poetico, a qualsiasi collante di natura lirica, a ogni forma di soggettivismo che, in maniera preponderante, utilizzi la descrizione delloggetto al fine esclusivo, anche quando non dichiarato, di dare voce al sé che lo sostanzia, risponde in Giampiero Neri allesigenza, eticamente pregnante, e pressante come un pungolo sempre in movimento, di costruire dei nuclei di senso autonomi allinterno dei quali è facile, perché storicamente possibile, riconoscersi: il riconoscimento identitario, così ottenuto, esclude a priori che una qualsiasi esperienza soggettiva possa mai ipostatizzarsi in verità assoluta, da una parte, o in una indicazione di percorso escludente qualsiasi altra ipotesi, dallaltra. Unesigenza etica, dunque: di un ethos che si dispiega nellaccettazione degli avvenimenti come destino, un informe o ordinato reticolo di segni sempre da interpretare e da reinterpretare, pur nellapparente uniformità delle immagini che si offrono allascolto della parola. Lesistenza, intuita come destino, quindi, utilizza, quale chiave di accesso privilegiata a questi segni, un intero alfabeto fatto di glifi, segni, figure ed elementi naturali la cui osservazione e descrizione realistica permette di chiarirne qualcuno, mai di spazzare via definitivamente il buio che è alla radice di ogni visione (...)".
(Il testo integrale dell'articolo, che consiglio di leggere, è reperibile QUI, dove è possibile trovare anche altre poesie di Neri).
Lavarello è il nome lombardo di un pesce che vive sul fondo del
lago. Ha la testa piccola, come di chi deve pensare poco. Ma per
la forma si adatta alla profondità. Il colore è bianco argento.
Sta nei confini dell'acqua scura, fredda e si suppone pigro e
pacifico.
Sul banco del pescivendolo si vede qualche volta, il corpo corona-
to dal rosso vivo delle branchie.
lago. Ha la testa piccola, come di chi deve pensare poco. Ma per
la forma si adatta alla profondità. Il colore è bianco argento.
Sta nei confini dell'acqua scura, fredda e si suppone pigro e
pacifico.
Sul banco del pescivendolo si vede qualche volta, il corpo corona-
to dal rosso vivo delle branchie.
PROCEDIMENTI
a Fernando Picenni
Si ricava una pasta di vetro molle e densa che per il variare della
luce prende diverso colore, blu e oro. Formata da molti frammen-
ti di terra e conchiglie, oggetti fuori uso, che si mescolano insie-
me come sabbia.
Alla fine rivela una luce propria, che attraversa una vasta ombra.
LICEO
I
Il giovane Apollo si affrettò in direzione della scuola. Salì di
corsa le scale e aprì la porta. Diede un'occhiata al cartello stam-
pato in rosso « I ritardatari sono sempre i soliti » e passò davanti
alla segreteria dai vetri azzurrati.
L'aula della seconda liceo era in fondo al corridoio.
II
Suo padre alzò gli occhi dal giornale che stava leggendo, « Il
pedale monzese », e guardò fuori dal finestrino.
La ferrovia Nord attraversa una zona industriale. Nel paesaggio
grigio e viola si notava un cancello e l'insegna di stile novecento,
SOCIETÀ SIRIO.
Qualche volta il sole passava per la rotondità di quelle lettere,
illuminava per un attimo la scena.
III
Nell'aria fumosa del Caffè, il padre ascoltava le confidenze del
socio in affari. Aveva avuto diverse esperienze. Un piccolo com-
mercio di zafferano, che acquistava personalmente in Abruzzo. Di
qualità buona ma troppo costosa, come si era visto in seguito.
Anche un commercio di pellicole destinate al macero, che espor-
tava in un paese dell'Est.
Molte copie di vecchi film erano finite a un fabbricante di
celluloide, « L'Angelo azzurro », la Duse.
IV
Il professore di greco stava nel vano della finestra. Guardava gli
alberi in doppia fila di via F. Picenni, perfettamente allineati.
L'ordine simmetrico era alla base dei suoi studi su Società e
Tempo.
Un suo lavoro dal titolo « Simmetria e necessità » era stato letto
da qualche studente.
- Osservate - diceva - la società dei Feaci e le prove di
Ulisse, come sono descritte nel capitolo ottavo dell'Odissea. L'e-
same necessario e difficile per l'ospite, il gioco pericoloso. -
Il viale alberato finiva in una grande macchia.
V
A causa dei continui ritardi il giovane venne espulso dalla scuola.
Tornò di corsa sui suoi passi, al numero 12 di piazza Libia.
Proprio sul marciapiede di casa era scritto in gessetto « Ugo non
aspettarmi ».