Pier Damiano Ori - Atti naturali - Carta Bianca, 2012
Da Scuola di respiro
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La cronaca è un albero che sgocciola
Un miliardo di liquido niente.
Mi bagno lì sotto, come fossi placido,
accolgo la pioggia vegetale
sapendo che è senza tempo, ma di breve
durata, nel mondo mortale.
Gli automobilisti in gita lo sanno
e non si fermano:
è più in là lo spettacolo cercato per
questo fine settimana,
La caccia continua.
Questa sera a casa piangeranno tutti.
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Chi abitava qui? Un uomo?
Una scimmia, piuttosto.
Non vedi le bucce, lo sporco
Il disordine animale?
In questa grotta?
In tutte quelle qui intorno
Scimmie, scimmie dappertutto...
E andavano a letto? Si riunivano davanti
Al fuoco?... Racconti serali...
Carezze miagolii, un piccolo pianto...
Come tutti, come tutti.
Per millenni. Anche adesso.
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Il cappotto,
quiete e avventura
mio
blu
panno
pesante
niente giorno
lunga sera.
Tutti i santi nelle tasche
così a lungo studiate.
Quel cappotto
il capotto è
la mia copia,
interamente in superficie
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Tutti i sapori che ricordo
Non mi basteranno fino alla fine,
vedrai, che dovrò aggiungerne altri.
Ormai vecchio dovrò
masticare e inghiottire
e continuare a chiedermi
a interrogare le mie facoltà,
incurante (farò finta, naturalmente)
che siano disperse, tutte, nel giardino
che circonda il palazzo.
Davvero, ricorda quello che ti dico:
mi perderò in continuazione.
Userò il fischietto che usava
lo zio e andrò avanti fra i vialetti.
Crederò (farò finta, naturalmente)
che tutto questo sia continuare una dinastia,
Sarò piccolissimo, vedrai
Da Esortazioni
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Ammetti che non sai
bene (davvero bene)
cosa è
l'ombra
Ammetti che sai solo
darle il nome.
Ammetti che ci sono
cose che non sai
Oggetti
che usi e non conosci
Poi
ammetti che il
tatto
(molte molte volte)
è il solo modo
che hai
come un animale
l'olfatto.
Da Eloquenze
(cercare)
Dov'è il mio poeta seriale?
quello a cui mi rivolgo tutte le sere
per sapere se il giorno ha avuto un esito?
Apro il libro e non lo trovo.
Lui è come una montagna o un lago,
sempre lì, ad aspettarti come un figlio o un padre
che ci sono se ci sono, punto e basta.
Possono tornare, ma anche no: soprattutto sanno andare.
E prima comparire senza essere chiamati.
Perché l'assenza è questa: che una volta (o cento o mille)
prima si è stati.
(trovare)
Ha tenuto la scarpa tra le mani,
quella sinistra.
Non per sua scelta, ma sfuggita al trasloco.
Era una sentinella, un guardiano senza ordini,
il fratello senza indirizzo,
la persona buona che mangia il gelato,
il congiunto in vacanza
mentre la casa è in fiamme.
(ricordare)
Di quello stabile dove aveva passato
l'infanzia, dentro i campi,
rimaneva tutto.
Solo che ora è città.
Irriconoscibile, se si vuole.
Se si guarda dall'alto,
la fila piccolo borghese
dei gerani ai balconi, è
la stessa.
Forse nessuno è morto.
Da Giornate delluomo attento (*)
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Come accade ogni mattina la finestra interroga Enrico
e lui si gratta i piedi.
Il corpo ha i suoi bisogni, e l'universo anche.
Dopo il sonno tutti e due reclamano Enrico
che a quel punto spera sempre che la porta sbatta
o il cane abbai o la luce si spenga.
Siccome è esattamente un giorno come gli altri
non succede niente.
Ogni oggetto è afono, ma non spento.
E mattino e ogni cosa
pretende.
Puntuale. Senile. Reclama la corsa.
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Vicino alla milza c'è il cuore,
un posto assurdo senza riparo
un cortocircuito senza energia.
Forse si è sbagliato, lo sta pensando.
Le mappe lo appagano, la mente
non lo assiste.
E le mani sono sempre secche.
Quindi non sa.
Vorrebbe conoscere con gli occhi ma sono
un organo distante.
In lui gli occhi sono una cosa, il ragionare
un'altra.
Così pensa sempre all'ombra di qualcosa:
un albero, l'ombra stessa, il più delle volte
un sorriso improvviso.
Pomeridiano.
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Scendere nei sotterranei è una distrazione,
piccolo viaggio consentito, verso la holter,
passi accuditi
per applicarsi quell'oggetto ostile
che poi ostile non è perché è stato zitto
tutto il tempo.
Non più contatore, diventato scettro
per comandare al cuore, un meccanismo
per dialogare col muscolo-re
e dirgli finalmente cosa deve fare.
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- Il corpo è breve - dice il chirurgo. Intende che è fragile, o forse
anche forte ma preparato per la morte. E se lui, il chirurgo, ci
può fare qualcosa sa che non è per sempre e magari nemmeno
per molto.
Corpo breve, appunto.
In sala operatoria, tendini, muscoli, vene sono un sistema aperto,
o forse ai suoi occhi di stremato esperto, neve.
Ecco, sì, neve; è più facile intervenire sulla neve. Cioè no; ma
sono i bambini a lavorare la neve, costruire con la neve.
In questo senso c'è speranza.
Rompere, saldare, estirpare, semplicemente togliere... spesso
buttare il tolto (prezioso tesoro quando pulsava oppure orrendo
macchinario nemico) in un bidoncino alla fine del letto:
pedalino per aprire il coperchio, piccolo cilindro di inox che
esorcizza ciò che non fa più bene.
Neve, neve, neve anche qui, anche lì. La guarigione è il suo
sciogliersi.
È bene svegliarsi? Enrico se lo chiede. Vuol dire che è sveglio?
Il chirurgo crede nella veglia. Quest'uomo che sana crede nella
morte. Non potrebbe essere altrimenti: la morte è l'agguato suo
complice. Attrezzo professionale.
Lui e Enrico adesso corrono al finale. Fra dieci minuti non si
conosceranno più . Enrico guarito, il chirurgo appiedato.
(*) lEnrico di questo libro è lHenry dei Dreams songs di John Berryman cinquantatre anni dopo, in un altro continente, dentro un altro scrittore.
(uneco, insomma). (n. d. A.)