Appunti su Quinta vez di Maria Pia Quintavalla (*)
«Tutta la materia è luce. E la luce che, quando termina di essere
luce, diventa materia. Nel silenzio cè tensione verso lespressione,
nella luce tensione verso lopera [
]. Perciò le montagne sono luce
esaurita; così le correnti, laria, tu stesso» (Louis Kahn).
Leggo Quinta vez di Maria Pia Quintavalla e subito mi vengono in
mente queste parole di uno dei più grandi architetti del Novecento. Perchè?
Conosco Quintavalla da un po', ho letto quasi tutto quello che ha scritto e
a me sembra, in certe continuità che vi riscontro, che quella di Maria Pia
sia una materia che non vuole arrendersi, è ancora luce, continua a
bruciare, ma è vero anche che il materiale poetico, quello che nella
scrittura viene a concretizzarsi, è talmente identitario che, anche senza
scomodare inutili psicologie, sarebbe come rinunciare a sé stessi. Insomma
tra luce e materia, tra la vita vissuta e immaginata e la scrittura la
dialettica è costante e aperta, ma con un nocciolo irradiante che è la
vicenda familiare. Perché in questo libro, vario e articolato anche come
forme stilistiche ed espressive, tornano persone o personaggi che per
tratti più o meno accentuati abbiamo già incontrato. Come soprattutto
China, la figura materna immanente, una presenza di riferimento in libri
come Cantare semplice del 1984, poi ancora in Il cantare
del 1991, Le moradas del 1996, Albun feriale del 2005, China del 2010 e anche nel recente Vitae del 2017 (che
però come stesura è successivo a questo), ma dovremmo parlare anche de I compianti, 2013, in cui vengono ricordati entrambi i genitori.
Già questo elenco sembra rappresentare un tentativo di sfibrare la materia
che di continuo si riforma, un tentativo di portare alle estreme
conseguenze, anche con forme diverse, anche con voci e registri diversi,
qualcosa che non si può rimuovere.
Parlando di China (Ed. Effigie 2010, v.QUI
) scrissi all'epoca "credo che questo libro, dedicato alla figura della
madre scomparsa, assolutamente centrale nella sua esperienza poetica e di
vita, chiuda in effetti una vicenda. E, per ragioni extra poetiche, è
proprio quello che auguro a Maria Pia". L'auspicio derivava dal percepire
in quel libro una specie di ossessione, per quanto magnifica, che in
qualche modo rischiava di manierare l'ars poetica dell'autrice, ma
soprattutto un dolore non rimarginabile che mi rattristava. Ma mi
sbagliavo, la materia non era esaurita e, se è vero che tutti gli scrittori
in fondo sono autori di un solo libro, non è esaurita nemmeno ora. Tende
semmai ad una sua metamorfosi, come qualcosa di vitale ed adattativo.
Se parlo di "presenze" in questo libro, soprattutto quella di China, è
perché il dato meramente biografico e la concretezza tangibile di persone
sono superati anche nel ricordo, in ciò che esso ha di puramente
documentale, di registrazione sebbene modificata dal tempo e dalle
emozioni. La presenza è trasfigurata, onirica o, come anche nella sezione
che chiude il libro, Le sorelle, le persone si fanno personaggi,
metafore, specchi, ma anche proiezione di un desiderio, di aspirazioni non
conseguite. China è come un alter ego possibile, una figura mitica, una
donna che infine si libera, seppure nell'immaginazione del poeta,
ritornando nella sezione Quinta vez alla sua terra d'origine di
Spagna; la sorella come antagonista, proprio in senso teatrale (e da qui
forse la scelta della forma dialogica nella sezione finale del libro),
ovvero come emblema di scelte esistenziali o di una visione dell'essere
donna diverse - forse più libere forse meno "responsabilizzate" - da quelle
dell'autrice; la figlia, costante pensiero sottotraccia nella poesia di
Maria Pia, come realtà e simbolo insieme di difficoltà, conflitti
generazionali, eredità non raccolte. C'è da aggiungere che la citata
sezione Le sorelle descrive anche un conflitto interiore
dellautrice: tra essere da un lato madre/figlia (il campo
emotivo/affettivo, interiore) e dall'altro militante (il campo sociale,
esterno, politico) per intenderci, come due parti in commedia a volte
laceranti. Se il dissidio finale è irrisolto è perché lo è, io credo, anche
per Maria Pia (e lì forse cè la materia per un ulteriore lavoro).
Libro quindi del doppio, triplo dolore, per la vita propria, per la morte
della madre, una perdita che deve essere poeticamente "restaurata", per le
incomprensioni con la figlia. Un rapporto multiforme con donne, anche la
sorella, che è rappresentazione della multiformità dei rapporti e della
vita stessa. Libro in cui da un punto di vista drammaturgico la dinamica
dei contrasti è assai efficace, a rappresentazione del contrasto, che è
fondamentalmente di scelte e forse di destini, che ciascuno di noi vive
nella vita. Non so se è poesia matrilineare o femminile, termini che sono
stati usati ma che rischiano di creare "scatole" non necessarie; o una
poesia ombelicale, come è stato scritto altrove. In realtà quello che cè
di ombelicale, qui, è la rottura (e la "riscrittura") di quello stesso
cordone, senza la quale in arte non cè tensione, dramma, e soprattutto non
cè dominio dellartista sullispirazione, per quanto questo termine possa
essere poco categorico. Direi piuttosto (e non è la prima volta che mi
capita a proposito di poesia di donne) poema epico o forse genealogia, una
genealogia ricreata (come una realtà aumentata, ipervirtuale) in cui la
linea per così dire filogenetica è tutta marcata sulle figure femminili
(non cè qui nessun padre, come poco cè altrove, ma credo che sia una
scelta non tanto politica o femminista o di rimozione quanto di
irrilevanza nell'economia di questo racconto, solo qualche accenno come ne Le sorelle: Tu rappresentavi il permesso che mio padre ha sulla
sua copia riuscita). E ricordiamo che nella sezione che dà il titolo al
libro, la protagonista, una China riapparsa nella terra dorigine, non si
sposa e non fa figli, gode di una libertà che tuttavia - sia detto senza
moralismi - è sterile, anche in senso metaforico, perchè interrompe la
filogenesi, la Storia, e quindi crea un dilemma che forse è quello di molte
donne, che tipo di missione dare alla propria vita (la storia,
invece, ovvero la narrazione come in questo caso, è un anello, un loop
finzionale, un sogno e una macchina del tempo creata ad arte). Se qualche
commentatore ha richiamato Jung, l'archetipo della madre, il conflitto con
essa che si rinnova nella maternità della figlia, e qualcun altro il Faust
goethiano e la discesa alle madri, direi che è Orfeo, il poeta, colui che
canta e con il suo canto cambia il mondo, il precursore di tutti i poeti,
ad essere il più titolato di tutti ad essere chiamato in causa. Qui cè sì
una catabasi, ma non è proprio una descensio ad inferos, perché
China, nella sezione Quinta vez, vive in effetti il suoritrovamento, la sua libertà, magari il ristoro di pene passate, nel suo
orfico paradiso pieno di luce in cui il poeta ha voluto porla. Forse per sempre. (g. cerrai)
(*) rielaborazione di appunti per la presentazione di Quinta vez a Pisa il 7 giugno scorso.
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