Simona Menicocci - Saturazioni - Diaforia 2019, saggio
introduttivo di Luigi Severi
Se dovessimo, e dobbiamo, rivedere alcune categorie, canoni, paradigmi
obsoleti della poesia (e qualcuno di noi lo sta facendo, anche se mi pare
che finora manchi una riflessione critica e teorica organica e strutturata)
direi che Simona Menicocci appartiene a quella ancora rada schiera di
autori che stanno preparando da qualche tempo arnesi più affilati per
affrontare una realtà sempre più complessa. In particolare si tratta, come
nel suo caso, di sviluppare una lingua non arbitraria nemmeno nelle sue
disarticolazioni più estreme e nel contempo non lasciarla apolide, priva di
radici e di destini, o autotelica, cioè rivolta ad un proprio ombelico
segnico, in una strada a fondo chiuso. Ma affidandole una responsabilità di
dire, di dire qualcosa del reale, ma non qualcosa di stocastico o
occasionale bensì selezionato criticamente, che potremmo definire come
"esperienza del reale collettivo", per usare le parole di Amelia Rosselli.
Scelte non arbitrarie ma di libero arbitrio, quindi una volontà di dare un
nomos, una sua ragione a questa parte di reale, una sua esemplarità che si
rifà anche alla Storia, quella che non insegna mai e che quindi assume
inevitabilmente una carica tragica - che il linguaggio trasfigura e
potenzia - di replica possibile.
Scrive infatti Simona Menicocci in una nota: "In questo libro il lettore troverà testi difficili da maneggiare, difficoltà che vorrei non fosse intesa come una forma velleitaria e anticomunicativa postavanguardista, bensì come un'inchiesta sulla storia umana. Ogni testo, infatti, centripeta sulla pagina uno o più eventi della cronaca umana contemporanea, affrontati obliquamente; non esprime un'esperienza privata del male, ma problematizza le possibilità di costruire e organizzare, a partire dai materiali del mondo (eventi e discorsi), esperienze linguistiche e affettive che possano essere comuni. Un'inchiesta che quindi non può slegarsi da quella sul rapporto tra uomo e realtà, tra linguaggio e storia, tra scrittura e male, intesi in chiave materialistica e non certo ontologica.
Due i punti di riferimento, gli eventi storici centrali e paradigmatici attorno cui sono nati questi testi: Auschwitz e Hiroshima. Non interpretati come catastrofi eccezionali, parentesi in cui la storia si è interrotta, bensì come eventi iperrazionali e ripetibili, in continuità con lo sviluppo di una cultura fondata sul progresso tecnico-scientifico volto all'autopotenziamento costante, che, come ha brillantemente analizzato Gunther Anders, ha portato l'uomo dalla condizione di soggetto della storia a quella paradossale e tragica di soggetto antiquato a causa del suo gap prometeico rispetto alle conseguenze della tecnica, del «dislivello tra il fare e l'immaginare, l'agire e il sentire». Come si vede Manicocci ha perfettamente chiare le sue opzioni e le sue intenzioni, i suoi materiali e le sue tecniche, nell'ottica (e a conferma) di quanto dicevo all'inizio.
Scrive infatti Simona Menicocci in una nota: "In questo libro il lettore troverà testi difficili da maneggiare, difficoltà che vorrei non fosse intesa come una forma velleitaria e anticomunicativa postavanguardista, bensì come un'inchiesta sulla storia umana. Ogni testo, infatti, centripeta sulla pagina uno o più eventi della cronaca umana contemporanea, affrontati obliquamente; non esprime un'esperienza privata del male, ma problematizza le possibilità di costruire e organizzare, a partire dai materiali del mondo (eventi e discorsi), esperienze linguistiche e affettive che possano essere comuni. Un'inchiesta che quindi non può slegarsi da quella sul rapporto tra uomo e realtà, tra linguaggio e storia, tra scrittura e male, intesi in chiave materialistica e non certo ontologica.
Due i punti di riferimento, gli eventi storici centrali e paradigmatici attorno cui sono nati questi testi: Auschwitz e Hiroshima. Non interpretati come catastrofi eccezionali, parentesi in cui la storia si è interrotta, bensì come eventi iperrazionali e ripetibili, in continuità con lo sviluppo di una cultura fondata sul progresso tecnico-scientifico volto all'autopotenziamento costante, che, come ha brillantemente analizzato Gunther Anders, ha portato l'uomo dalla condizione di soggetto della storia a quella paradossale e tragica di soggetto antiquato a causa del suo gap prometeico rispetto alle conseguenze della tecnica, del «dislivello tra il fare e l'immaginare, l'agire e il sentire». Come si vede Manicocci ha perfettamente chiare le sue opzioni e le sue intenzioni, i suoi materiali e le sue tecniche, nell'ottica (e a conferma) di quanto dicevo all'inizio.
Come afferma Luigi Severi nel suo saggio: "Molto più che altri poeti,
Menicocci ha acuta la coscienza che la storia è la lingua; che la lingua è
la storia. Equazione in cui è la sostanza tragica dell'azione umana, poiché
nella parola è sempre possibile ritrovare la traccia della colpa prometeica
originaria (il furto del fuoco: la nominazione) bilanciata, solo in parte e
sempre a perdere, dal filo fragile che il linguaggio trama (tra individui,
tra gruppi, tra tempi). Per questa ragione, la ricerca nel corpo della
lingua è ricerca dentro la presenza storica dell'essere umano, alle radici
della sua costruzione di legami: letteratura come memoria narrativa di
gruppo, legge come ipotesi di regolazione sociale, economia come dottrina
di sopravvivenza". E ancora: "Libro contraddittorio sin dal titolo (poiché
saturo, ma della lacunosa babele emersa da uno scavo), le Saturazioni attraversano molte categorie letterarie senza fermarsi
in nessuna. Libro che riassume la complessità di un'epoca, ma che tramite i
suoi strumenti procede oltre, addentro alla complessità della storia sin
dal suo nascere, tentando un sillabario comune, che vichianamente orienti e
ritorni a distanza; libro nato ultrasaturo di cultura, postfaustiano, alla
perfetta «confluenza della filosofìa, della politica e dell'arte» (cosi
Melchiori sugli scrittori-funamboli di primo Novecento), ma per questo
aurorale, nuovo di una lingua fondata su residui, poiché «venire al mondo
significa prendere la parola, trasfigurare l'esperienza in un universo del
discorso (G. Gusdorf)»". (post a cura di g.cerrai)
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