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Ferdinando Scianna - Viaggio, racconto, memoria - riflessioni sull'arte di Elisa Castagnoli

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ferdinando scianna - enna 1963…VIAGGIO, RACCONTO, MEMORIA, attraverso le fotografie di Ferdinando Scianna


All’inizio di questo viaggio per immagini nella retrospettiva “Viaggio, Racconto, Memoria” ai Musei san Domenico di Forlì è la miriade di scatti e storie, racconti e memorie legati all’universo fotografico di Ferdinando Scianna: la quintessenza del suo stile, il suo essere attraverso la fotografia a stretto contatto con il mondo, in presa diretta con la vita e parte in causa della storia che in maniera estemporanea documenta nel lavoro di reportage. La selezione di immagini dedicate a Bagheria nella prima sala rende testimonianza alla sua terra natale, la Sicilia, luogo d’appartenenza e di radici, di fughe obbligate nel corso degli anni ed ossessivi ritorni, di salti in avanti nel tempo al presente e riecheggiamenti di un mondo arcaico e vagheggiato simile a scintille di memoria dall'infanzia o dalla prima giovinezza ritrovate in fulminei istanti di fuga dal presente.


“ Bagheria, l’odiato-amato paese in cui sono nato, dove ho passato la mia infanzia, in provincia di Palermo, dove ho vissuto fin ai 23 anni, dolce e terribile luogo dell’anima dove ho scattato ben più fotografie di quanto non sospettassi. Ho continuato a fotografare a Bagheria nel corso degli anni, negli innumerevoli, desiderati ora temuti, felici ora dolorosi, qualche volta inevitabili ritorni”.

La questione ossessiva quanto inevitabile per Scianna sull’essere siciliano si lega alla ragione prima, all’essenza stessa del fotografare che per lui è indiscutibilmente un modo, forse il solo di approcciarsi alla realtà, di esserci e guardare il mondo nel tentativo di comprendere, fosse solo qualche istante decisivo, e di raccontarlo attraverso il mezzo fotografico. Cosa significa essere nati in quel luogo, isolato e isolano, impregnato di anacronismi e tradizioni, riempito di rituali e affondato in un immobilismo fuori dal tempo, letargico e fatale, poi andare via, allontanarsene per gettarsi nel maelstrom del vivente da Milano a Parigi collaborando con un’agenzia internazionale e prestigiosa come Magnum o nei vari reportage in giro per il mondo, eppure continuare a guardare, a esplorare la realtà con occhi da siciliano.

“ Quando partiamo la nostalgia comincia a tormentarci, il lavoro di trasfigurazione della memoria in un ritorno tanto sognato quanto reso impossibile. Dalla Sicilia si scappa ma non si lascia mai l’ossessione delle origini.”.




Origini, radici, la terra di Sicilia

Le fotografie della prima sala scattate negli anni ’60 dalle inquadrature altamente cinematografiche ricreano ambientazioni, atmosfere, stati emozionali dell’intrinseca identità dell’isola evocando in scorci suggestivi immagini giunte dagli anni dell’infanzia o della prima giovinezza in Sicilia. In “maestro d’acqua”: un uomo di età avanzata appare  seduto tra gli arroccamenti a ridosso del mare sulle coste palermitane intento a sorvegliare un gregge. Solitario, asettico, inerte all’ azione, il suo sguardo appare gettato lontano oltre gli altopiani, pensatore estraniato dal presente. Palermo velata da una tenda è inquadrata in un’altra fotografia. Dietro quella il profilo di una donna si intravvede tenendo per mano il figlioletto in primo piano: tendaggi, schermi o reti mediano lo sguardo e separano, oscurano, pongono dei filtri visivi alla memoria rendendo quel mondo lontano e fittizio, più distante e remoto. Un gruppo di uomini in un bar avvolti da una coltre densa e grigiastra di fumo aspirano lentamente dai loro sigari mentre si soffermano indolenti e solitari a giocare a carte e a scommettere sul nulla del proprio presente. Bagheria sono le case arroccate sugli scogli in prossimità del mare, scavate dentro la pietra in un piccolo borgo solitario e resistente, lì da secoli esposto alle intemperie e alle tempeste, alla durezza della vita dei pescatori, costruite l’una a ridosso dell’altra a strapiombo sulla costiera. È lo sguardo di una donna anziana lucido e acuto in primissimo piano dagli occhi tempestati di nera ematite rilucente di ghiaccio. Sono i volti di donne avvolti da veli neri nel sole accecante del mezzogiorno a ridosso delle case del villaggio. Sono orizzonti, “dalla terrazza della casa dei miei nonni si vedevano agrumeti fino al mare, dalla cappella di S. Giusipuzzu la Villa Rosa si stagliava libera contro il monte Pellegrino”.



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