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Nicola Grato - Inventario per il macellaio

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Nicola Grato - INVENTARIO PER IL MACELLAIO - Interno Poesia 2018Nicola Grato - INVENTARIO PER IL MACELLAIO - Interno Poesia 2018

E' difficile dire qualcosa di questo libro prescindendo dal suo titolo. Un titolo è importante, lo dico con qualche cognizione di causa. Nei libri di poesia è quasi sempre campato in aria, o ripete un verso disperso nell'opera, ecc., a parte certi titoli memorabili, come Allegria di naufragi, per citarne uno. Ma quello di questo libro dà l'impressione di essere, per dirla con Genette, un titolo tematico. Insomma, un titolo forte, che dà una robusta indicazione. Perciò è con una certa sorpresa che poi, leggendo, ci si ritrova in una atmosfera che non ha l'odore del sangue né l'ossessione tragica di dare un ordine inventariale alle cose.
Le cose, certo, ci sono, e appartengono anche nel caso di Nicola Grato a quello che più volte ho chiamato un universo ristretto. Ovvero qualcosa di insieme concentrato e "vero" (vero per chi scrive), di universale e insieme strettamente privato, di condivisibile e insieme inconoscibile per chi legge. E' il mondo visto da una prospettiva personale, una vera "soggettiva" in senso cinematografico su una realtà essenzialmente domestica. Va da sé che ogni poesiaè soggettiva, anche quando chi scrive fa di tutto per defilarsi. Si tratta di vedere quali, quanti e di che qualità sono viceversa gli oggetti poetici, gli elementi affettivi, emozionali, estetici che passano.
Questo è fondamentalmente un libro che un giovane dedica alla memoria, a una memoria che riguarda i morti, certo, ma anche una memoria come valore etico, come elemento sociale, come eredità ed identità e magari, infine, come debito ancestrale, verso un luogo circoscritto, che forse la maggior parte dei giovani abbandonerebbe. Insomma una memoria che rammemora sé stessa. Sintomaticamente tutto questo è anche memoria della forma, sotto diversi aspetti che si riflettono soprattutto sulle scelte stilistiche e prosodiche di Grato, e debito culturale, stante che la versificazione di Nicola è quanto di più aderente ad una tradizione si possa immaginare. Già i testi di esordio della raccolta (ed è per questo il senso di straniamento di cui parlavo sopra) ci spediscono proprio in quell'universo circoscritto tanto lontano da qualsiasi ipotesi "forte" [anche vaghissimamente grandguignolesca o tragica] quanto può esserlo un salotto gozzaniano. Infatti è proprio Gozzano l'autore che più spesso viene alla mente, soprattutto per le piccole cose, gli oggetti che vengono quasi enumerati, le molte "cianfrusaglie di tante vite, / cose da poco, monili / perciati destinati al fuoco". Eppure questi ambienti sono scenari di morte, una o più, e stratificazioni di un dolore che però sembra rattratto, un po' frenato, trasferito subito su una malinconia elegiaca che è già - anche prima di una ipotetica funzione catartica della poesia - elaborazione e accettazione. Come un bighellonare col pensiero in un villaggio che siamo rassegnati ad abitare, e che quindi non può nemmeno alimentare una nostalgia, un ritorno alle origini, visto che siamo già qui. La cifra complessiva è proprio questa e ruota intorno alla perdita (della madre si suppone, del padre) però come dicevo già in gran parte metabolizzata proprio per via poetica. Soprattutto attraverso il fattore poetico per eccellenza, in una poesia di questo tipo, e cioè il ricordo, uno sguardo che indugia molto, poi, sugli elementi totemici del ricordare stesso, le cose, gli oggetti che popolano le stanze, che intermediano tra presenti e assenti, ne sono - e questo è importante da capire - le spoglie in qualche modo "animate". Chi scrive è come immobile al centro di questa perlustrazione dell'ambiente quale contenitore dei ricordi. Il tempo è fermo al momento degli eventi, privandosi di ogni dopo, come in ogni lutto che si rispetti. I calendari sono fermi "da una vita a dicembre", gli orologi sono fermi, le foto, ovviamente, sono congelate in eterno, come la luce, "una luce / di vetro il giorno ch’è morto / mio padre in dicembre – / mia madre in aprile". Il legame con tutto questo è forte, si ha quasi l'impressione che Grato lo viva come impossibilità di distacco, anzi con una qual soggezione, un "riguardo" che trova qualche riflesso anche nella lingua, con qualche accento dialettale (settimanile, perciati, cunto, azolo, balata) che però Nicola non usa in senso pittorico o espressionista, ma come esornazione o come elemento "nomade" (all'interno dell'italiano) di un rimpianto.
Le cose migliori, alcune delle quali ho riproposto qui, Grato le esprime proprio quando si allontana un po' dal memoriale elegiaco per volgere lo sguardo all'intorno, per osservare con occhio meno privato ma non meno dolente la vita, per riflettere su quanto di più universale il pensiero può cogliere anche all'interno di un mondo circoscritto, come ad esempio nella sezione Sommario dell'abbandono o in parte anche in Un paese di persone in volo. Si intravede qui quello che forse intravede, poeticamente parlando, l'autore. Cioè l'esaurimento di una tematica, come ultima elaborazione del ricordo malinconico, o del rimpianto (e non potrebbe essere altrimenti), e il passaggio verso altre domande su cui esercitare forse anche un diverso linguaggio o addirittura altre forme.
Insomma, una raccolta in cui forse Grato avrebbe potuto, con i mezzi e la materia che ha, tentare di andare un po' più a fondo, magari contrastando o arricchendo il dato memoriale, la massa oggettiva delle "cose" con uno scatto immaginativo, imponendo alle cose stesse il suo intimo, trasfigurandole. Ma va detto, a parte queste considerazioni che, come ricordo sempre, sono solo un punto di vista, che quella di Grato è complessivamente una poesia piuttosto buona, proprio nel suo essere tradizionale, anzi crepuscolare, con un orecchio stilistico particolare per musica e metro, assonanze e rimandi, rime interne e consonanze, insomma con una cura della lingua che si fa notare. Come dicevo sopra, i mezzi ci sono, e anche la materia, forse non sfruttata (o aggredita) come avrebbe dovuto. Immagino che Nicola vorrà mettersi alla prova con altri temi, con altri e più ampi orizzonti. (g. cerrai)


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