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Rodolfo Zucco - Bubuluz, nota di Gabriella Musetti

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«Raccolta di trascrizioni» e aggregazione in forma di pastiche in molti casi, «centone di composRodolfo Zucco, Bubuluz, edizioni del verri, Milano 2017izioni precedenti di uno o più autori» (dal Dizionario enciclopedico della musica e dei musicisti UTET), così ci informa l'autore nella Nota a fine testo, citando un passo di Jolanda Insana sul «bisogno di fare e disfare», e mettendo a commento Raboni della “poesia che si fa”, Gli esercizi platonici di Pagliarani, i Palimpsestes di Genette, Zanzotto...

E in effetti questa raccolta, che si colloca dentro una tradizione antichissima, mette a punto alcune considerazioni specifiche sulle modalità del “fare poesia”:

- i rapporti di senso cambiano, ma reggono in altri modelli inediti e a volte imprevisti, scombinando e ricombinando il materiale verbale («si creano sbilanciamenti» osserva Insana a proposito di proprie esperienze simili);

- è un modo per «giocare con ciò che si trova in giro» (ancora Insana), quindi si pone attenzione alla disposizione a usare parole, oggetti, già in circolazione, comuni;

- più che esercizi di scrittura sono anche e forse soprattutto «esercizi di lettura», nel senso di lego (“leggere” e anche “scegliere”, “raccogliere”);

- questo disfare e fare ci riporta alla poesia come a «un piccolo o grande opificio» (Zanzotto).

La ricombinazione di significati ha tradizioni lunghe nel tempo e consolidate nel Novecento, soprattutto in ambito francese, svizzero, tedesco (Oulipo, dadaismo, parte delle Avanguardie) e angloamericano.

Nella raccolta di Rodolfo Zucco diventa materiale di creazione e di studio, esercizi di scrittura in cui si sperimentano multiformi possibilità di costruzioni linguistiche per indagare fin dove può arrivare la forza di aggregazione del linguaggio, la sua disponibilità plastica. E parimenti quali immersioni nei significati sono possibili, quali suggestioni si agganciano a una forma di scrittura non empatica, distaccata, tenuta insieme dalla misura delle parole, anche quando si tratti di linguaggio arcaico, specialistico, gergale, colloquiale, plurilinguistico. Le “restituzioni” ci offrono un testo sorvegliato, misurato, mai dirompente o eccessivo. Come se l'intento primo dell'autore fosse stato quello di mantenere un equilibrio interno, una proporzione nel dicibile, lavorando di scelta ponderata, di presa di misura negli accostamenti. Questo procedimento non diminuisce la creatività, ma libera la disposizione autonoma alla ricerca, senza eccessi o sovraccarichi derivanti da un surplus empatico.

Non sono giochetti fini a se stessi o al più legati a una sovraesposizione di narcisismo (anche involontario), o di ironia, di quella arrischiata sorpresa accattivante atta ad attrarre il lettore, una manipolazione piuttosto superficiale che riveli bizzarrie, metta in luce la facilità del processo di invenzione, di imitazione, come in tanti esercizi di scrittura contemporanei.

In questa raccolta l'esplorazione del linguaggio consente due direttrici di percorso: una verticale, che entra nei gangli del processo creativo, si cala nelle profondità del soggetto perché muove qualche lontana somiglianza o reminiscenza o faglia sospesa che tende a risuonare nuovamente; un'altra orizzontale, aperta e dinamica, che esplora le disposizioni della lingua, le sue innumerevoli possibilità di combinazione da cui scaturiscono nuovi o rinnovati sensi, tutti indagabili in altre esplorazioni.

E non perché il materiale usato appartenga spesso alla lingua antica o a registri specialistici o comuni, a forme desuete o burocratiche, alla letteratura, a dizionari, a copioni teatrali, a codici di legislazioni, a resoconti di viaggi, alla produzione saggistica, a didascalie; e si rincorrano, tra gli altri, i nomi di Dino Buzzati, Bruno Schulz, Stefano Malatesta, Konrad Lorenz, Carlo Goldoni, si affacci forse Elena Ferrante.

Neppure perché si mantenga graficamente una separazione (tondo e italico) nella scrittura a indicare intenzioni diverse e qualche volta si rimandi a un gioco alterno, uno spostamento inaspettato nella “posizione” e nell'ottica scrittoria. E neppure perché da spunti appena accennati nascano per interna germinazione delle osservazioni, riflessioni, suggerimenti che trascinano il senso a interrogarsi sul comune destino, sulla disponibilità umana alla esistenza consumata nelle sue innumerevoli forme: come, in quali modi storici e contemporanei, è data, si è manifestata.

E' una osservazione continua di frammenti, di particelle di realtà accostati per moltiplicarne il senso, per dare significazione di una complessità di sguardi, di scelte, di posizioni, di proprietà, di accidenti, tutti oggetto di trasformazioni, mutazioni.

E lo sguardo combinatorio dell'autore sorveglia e scava la materia vitale con la cura tenace dello studioso, con l'accudimento dell'amante. (gabriella musetti)



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