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Europa in versi: il festival e alcuni testi degli ospiti



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Dal 18 al 20 maggio prossimi si svolgerà a Villa Gallia a Como l' VIII edizione del Festival Internazionale di Poesia "Europa in versi", con il tema "La poesia e il viaggio". Il programma (v. il comunicato stampa completo QUI) comprende, oltre la premiazione dei vincitori del “Premio Internazionale di Poesia e narrativa Europa in versi” (giuria composta da Milo De Angelis, presidente, Roberto Galaverni, Laura Garavaglia, Mario Santagostini, Elisabetta Broli, Andrea Tavernati e Wolfango Testoni), anche un reading di  poeti provenienti da diversi paesi (Ion Deaconescu, Metin Cengiz, Dmytro Tchystiak, Claudio Pozzani, Francoise Roy, Massimo Daviddi, Gian Mario Villalta, Müsser Yeniay, Luciano Monti, Maddalena Lotter e Kabir Yusuf Abukar); e, per la prima volta al Festival, un poetry slam, coordinato da Dome Bulfaro, anch'esso con artisti di varia provenienza, i campioni nazionali di Usa (Regie Gibson), Francia (D' De Kabal), Sud Africa (Tania Haberland), Svezia (Olivia Bergdahl), Italia (Simone Savogin) e Spagna (Dani Orviz).
Come tutte le volte che mi è possibile pubblico per gli amici di IE  una discreta selezione di poesie dei partecipanti, ringraziando con l'occasione Laura Garavaglia, presidentessa del Festival e della Casa della Poesia di Como, e gli autori per la concessione dei testi.


I POETI DEL READING

Ion Deaconescu nasce nel 1947, è poeta, scrittore, romanziere, critico letterario e traduttore. Si è laureato alla Facoltà di Lettere dell'Università di Bucarest e alla Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Craiova. È docente presso la Facoltà di Scienze Sociali della stessa città. La sua poesia affronta spesso il tema dell’amore con toni lirici. Il suo sguardo si allarga anche a riflessioni sul senso della vita e sull’esistenza di Dio. È stato tradotto in moltissime lingue tra cui: francese, italiano, portoghese, serbo, macedone, inglese, turco, ungherese. Ha pubblicato oltre cinquanta volumi tra poesie, romanzi, critica letteraria e traduzioni, ottenendo numerosi riconoscimenti nazionali e internazionali, quali il premio Racin e il premio Trieste Poesia. È presidente dell’Accademia Internazionale “Mihai Eminescu” e direttore del Festival di poesia omonimo.

Esiste veramente

Lei c’è, esiste veramente…

Semplice come fuoco di stelle nel cielo d’estate

La senti invadere selvaggia

Sopra di te

Un’altra volta calma ti accarezza le guance

E le ferrite della fiducia

Dopo il cessato divertimento dei cacciatori

E la preda è dimenticata, quasi ignorata.

Lei c’è.

Esiste veramente,

Cambia il silenzio

E frana il ponte sul quale l’arcobaleno passa

Il cuore della voce palpita in un’incerta speranza

E grida lo stesso silenzio in una lingua

Degna, profonda.

Sulla trasparente pianura dei sogni

Lei e l’ombra hanno sbagliato la stagione

E il corpo nato dallo spazio.

Lei c’è. Esiste veramente.


All’improvviso

Le cose intorno

stavano invecchiando

senza una spiegazione.

I vocabolari stavano avvizzendo.

All’improvviso la freccia dei tuoi occhi

che mi trapassa e poi mi fa risorgere.

Era una sera un poco strana, confusa,

Troppi versi detti in piazza

in un paese di cui ho perso il nome.


Metin Cengiz nasce il 3 maggio 1953 a Göle/Kars (ora Ardahan), in Turchia. È poeta, editore e scrittore e, tra l’altro, membro del Sindacato degli Scrittori della Turchia. Dopo il golpe militare del 12 settembre 1980, è stato imprigionato per due anni perché dissidente. Durante gli anni di insegnamento della lingua francese nelle scuole di varie città turche, è stato mandato due volte in esilio e sospeso dal lavoro per le sue idee politiche. La sua poesia propone temi di grande attualità come le guerre in Medio Oriente, le contraddizioni di etnie e religioni, l’esistenza miserabile dei poveri nella società, l’ingiustizia e la compassione, la libertà e la sua perdita. I suoi versi sono un atto di pace, ma con una straordinaria potenza nella difesa della libertà, della giustizia e della fraternità. Oltre che per i suoi libri è famoso per i suoi articoli sulla poesia. È diventato uno dei pionieri del periodo poetico post 1980 in Turchia.

Gaza

Ieri ho visto la morte, era senza ali

Era nell’aria, pioveva

Qui, tu sei a Gaza dove si è accampata la morte

L’aria sembra lacerata da un coltello

Il sole è un urlo cieco

I suoi occhiali tacciono

Gli alberi sono cadaveri

I minareti non si slanciano verso il cielo ma verso il nulla

I bambini, bambini, bambini di Gaza

Strade, mercati, case piene di bambini

Gaza con le sue sagome di bambini è un gigante che combatte il nemico.

Bambini che cantano nel grembo della morte

Bambini silenziosi come santi, religiosi come musulmani

Aspettano che si plachi la voce delle pallottole

Riempiranno i campi

e abbracceranno le loro morti senza ricordare la fame

Vecchie donne con tuniche

Case, strade, sorvegliano la vita spalla a spalla

La pazienza è dipinta sui loro volti

Senza speranza, arrabbiati, tristi, vendicativi

Come un urlo che si leva al cielo

Come promesse

Stanno come una parte di cielo

Qui, sei a Gaza

La morte a Gaza è come un gioco da bambini

È come mangiare pane e olive a colazione

È come l’amore dei giovani

La morte a Gaza è come una statua di bronzo

A cui guardano tutte le finestre

La morte lavora come la mente di Gaza

Qui, tu sei a Gaza

In fiamme

Dove la morte ha ingoiato la lingua

Gaza è come un palloncino esploso

Cosa possono fare i poeti Arabi

le canzoni puzzano di bruciato in Galilea

Gaza è un limone giallo in mezzo al deserto

Da un lato, è spremuto da mani invisibili

Con una pressa d’acciaio

Dall’altro, stanno i nemici

Come una nuvola di morte

Gli occhi di Gaza si sono asciugati per il pianto

Così ora da Gaza esce il cadavere di Dio.


Dmytro Tchystiak ucraino, trentenne, è poeta, scrittore di racconti, critico letterario e traduttore, accademico e giornalista. La sua poesia è caratterizzata da una vena surrealista che coinvolge il lettore in una dimensione onirica, dove l’inconscio affiora con immagini di forte impatto emotivo. È professore alla National Taras Shevchenko Kyiv University, PhD, editore presso le case editrici ucraine “Raduga” e “Summit-Knyga” e lettore di alcuni editori francesi e belgi. Ha pubblicato quarantacinque libri, che gli hanno portato alcuni premi nazionali e internazionali in Ucraina, Francia, Belgio, Germania, Grecia e Romania. Ha tradotto molti scrittori slavi e francofoni in ucraino e circa cinquanta scrittori in francese. È membro dell'Accademia Europea delle Scienze, delle Arti e delle Lettere (Parigi) e membro corrispondente dell'Accademia delle Scienze dell’Istruzione Superiore dell'Ucraina.

Fiori

Ecco l'alba nel riflesso delle magnolie

tremante ti elevi nello spazio

ti alzi dal letto, dove siamo annegati

nel diluvio morboso (con questo dolore bianco,

e il grido rosso del viburno che trafigge i giovani,

i notturni), anzi non ti alzi,

fluttui come questo suono di clarinetto

così alto che la nota raggiunge la morte,

e al di là gli uccelli si svegliano e rispondono

e si direbbe che una mossa sia sufficiente

per esempio, aprire la finestra e tremare

oltre questo taglio di luce

per creare

l’alba!

Acacia

Camminavi sui fiori d’acacia

Senza sentire le voci della notte di primavera

Le mani incendiavano l’orizzonte

Passi tra i fiori d’acacia

e risuoni di notte e di maggio

il fuoco ha preso la tua voce per agitare una candela

Il vento è calato, canta solo

Un usignolo insoddisfatto

Le mani bianche tendono alla luna piena

E I fiori d’acacia fluttuano dolcemente tra le stelle.


Claudio Pozzani nasce a Genova nel 1961, è poeta, narratore e musicista; è apprezzato in Italia e all’estero per le sue performance poetiche nei più importanti festival letterari e nei Saloni del Libro. La sua è una poesia performativa e teatrale, dove emergono i temi dell’amore, della ricerca della propria identità, in un continuo fluire tra dimensione del sogno e della realtà. Nel 1983 fonda il Circolo dei Viaggiatori nel Tempo (CVT), un’associazione culturale che si occupa di arte, poesia e letteratura. Tra le tante iniziative promosse, il Festival Internazionale di Poesia di Genova “Parole spalancate”. Nel 2001 crea la Casa Internazionale di Poesia sita a Palazzo Ducale a Genova. Il suo CD di poesia e musica “La marcia dell'ombra” è rimasto per oltre due mesi nella top 20 di preferenza delle radio indipendenti italiane. Ha pubblicato inoltre il volume “Spalancati spazi – Poesie 1995-2016” per Passigli Editore e le sue poesie sono tradotte e pubblicate in oltre dieci paesi.

La marcia dell’ombra

Stanno cadendo corde dal cielo
e gelide catene ti danzano attorno
È un mondo di nodi
da sciogliere al buio
tra un lampo e l’altro
di fosforo e grida
È un groviglio di corde
che rifiutano forbici
E un pettine che s’incastra
dentro chiome che non pensano

È ombra... ombra
È un battito di ciglia ancora

Mi guardo attorno e vedo muri
persino il mio specchio è diventato un muro
sui tuoi seni è cresciuta una pelle di muro
il mio cuore, i miei sensi reincarnati in muri
E continuano a piovere preghiere e bestemmie
che evaporano appena toccan la sabbia
e continuano a strisciare in un silenzio velenoso
avverbi, aggettivi, parole senza suono

E ombra... ombra...
e un battito di ciglia ancora

Del sole vedo solo il suo riflesso
nelle pozze iridescenti di acqua piovana,
della luna indovino la presenza nel buio
dal lontano abbaiare dei cani legati
La mia pace non è la mancanza di guerra
La mia pace è l’assenza del concetto di guerra

Non ombra... ombra...
ma un battito di ciglia ancora

Sono

Sono l’apostolo lasciato fuori dall’Ultima Cena

Sono il garibaldino arrivato troppo tardi allo scoglio di Quarto

Sono il Messia di una religione in cui nessuno crede

        Io sono l’escluso, l’outsider, il maledetto che non cede

Sono il protagonista che muore nella prima pagina

Sono il gatto guercio che nessuna vecchia vuol carezzare

Sono la bestia idrofoba che morde la mano tesa per pietà

        Io sono l’escluso, l’outsider, il maledetto senza età

Sono l’onda anomala che porta via asciugamani e radioline

Sono il malinteso che fa litigare

Sono il diavolo che ha schivato il calamaio di Lutero

Sono la pellicola che si strappa sul più bello

        Io sono l’escluso, l’outsider, un chiodo nel cervello

Sono la pallina del flipper che cade un punto prima del record

Sono l’autorete all’ultimo secondo

Sono il bimbo che ghigna contro le sberle della madre

Sono la paura dell’erba che sta per essere falciata

Io sono l’escluso, l’outsider, questa pagina strappata

Francoise Roy nasce a Saint-Hyacinthe, Quebec, Canada, nel 1959. È poetessa, traduttrice, scrittrice, geografa e fotografa. Bilingue. Cresciuta in francese ma istruita letterariamente in spagnolo, Francoise Roy ha il tocco lieve e preciso di chi sente la precarietà dell'esistenza e, scrivendo, osserva con partecipazione gli impercettibili cambiamenti del quotidiano. Ha vinto numerosi premi a livello internazionale. Ha tradotto più di sessanta libri, pubblicato tre romanzi, due libri di racconti, tre plaquette e quattordici libri di poesie. È stata invitata a molti Festival di poesia in tutto il mondo.

Mamma, tanto dura, e la frutta

We have lived too close for love […]. [She] has grown to be my shadow.

Do our shadows love us, for all that they are never parted from us?

J.M. Coetzee (Foe)

1. Spaghetti le mie ossa, sotto le pietre levigate,

il canto rotolato dei tuoi quattromila occhi.

2. Il mio cuore di origami, piegato nell'istmo delle tue

fauci: marmorea carta, e sempre, da sempre tuo.

3. Cammello nel deserto, annuso la vicinanza di un

ristagno di acqua: mai un luogo del tuo affetto.

4. Il tuo coltello brilla nella notte dell'occhio: filo di luna

nuova, perfetta iperbole delle tue pupille.

5. Rimenbranza di me, perla viva nel suo astuccio di

calcio: quell’organo tuo, cristallizzato corpo dentro.

6. Palpavi il mio cuore, avocado nel tuo campionario.

Meraviglia di frutte fantastiche: una mela magica,

rossa e senza picciolo, dove occultare le mie arterie.

7. La tua bara, madre, con una pietra dentro, sola, dura,

quando la tua carne intorno si sarà dissolta.

Le labbra

Due lune di carne rosa tra ultimo quarto e luna

nuova, unite da quella strana parola, "commessura", piccola

cucitura di un solo punto per imbastirle al viso.

Tremanti orchidee del corpo, pelle scamosciata del petalo, orlo

delle parole, sì, ma estranee al loro picchiettio sonoro, al loro

torchio, al loro velluto, al loro acido muriatico, ai loro coloriti

sciami di note.

Il loro unico compito è il bacio. Quello di Giuda, quello dell'addio, quello

del cuore che sotterrato nella sua gabbia di costole – fidanzato

di Afrodite –, sogna di sentire i loro bianchi sacramenti.

Forse Dio aprì di taglio all'uomo muto quella ferita

nel viso, dicendogli: “Parla!”.

Addendum:Sebbene possano essere descritte come la porta d’accesso dell’apparato digestivo, l’apertura della bocca, o si possa dire di esse che sono una membrana retrattile di pelle e muscoli, le labbra hanno prima di tutto una funzione seduttiva. L’azione più connotata delle labbra, dare un bacio, è un simbolo del dono di sé sul piano spirituale, riconciliazione, tenerezza, amore o venerazione (da qui l’abitudine di baciare i piedi, le reliquie e i vesiti dei santi). Le labbra simbolizzano anche il parlare e il silenzio, sebbene la fonazione non si generi lì, ma molto più in basso, e dentro il corpo.


Massimo Daviddi nasce a Firenze nel 1954, trascorre parte della sua vita tra Milano e Luino: da diversi anni risiede a Mendrisio, Cantone Ticino. Per Massimo Daviddi la poesia è «quanto di più inutile esista, ma un’inutilità preziosa perché costringe l’uomo ad aderire al mondo». La città, con i suoi itinerari e le sue scoperte, diventa motivo di confronto tra le cose abituali e l’uomo. La prima raccolta che pubblica nel 2000 è: “Zoo Persone”. Grazie a “L’oblio sotto la pianta” del 2005, è stato finalista al premio Viareggio Rèpaci. Testi inediti sono pubblicati nell’“Almanacco dello Specchio” del 2007. Con “Il silenzio degli operai”, edizioni La Vita Felice, gli è stato assegnato il premio Federale di letteratura. Ha partecipato al Festival Internazionale della Poesia di San Benedetto del Tronto e a quello di Genova. Ha tenuto letture a Milano, Roma, Heidelberg, Ginevra. Il suo ultimo lavoro pubblicato nel 2017 è “Madre Assenza”.

Oltre la ramina

I

Bisognerebbe ascoltarli mentre vanno indietro uno dopo

l’altro a due passi dal confine, le ruote vicino alle pompe

di benzina, ai rilievi della montagna, migliaia di auto con

il profilo rovesciato dove il pensiero per sua natura torna

alle origini, si fa passato; seguirli è utile, là le prime case,

immagini devote, pietre e gradini su un piccolo giardino,

avventori al bar. Sapresti anche tu di più di te, conosceresti

il senso dello stare in fila, a macchia di leopardo senza nome.

II

Non abbiamo speranza, non conosciamo quale odore

spinga i cinghiali oltre la ramina, dove vanno esuli a mangiare

le bacche e come dicono molti a distruggere, non sappiamo

perché il carosello di branchi uniti dal desiderio venga vicino

alle nostre case, esca e scavalchi venendoci incontro, saltellando;

quale sia la pressione del sangue, le loro aurore, quale sia la violenza

vera, come dirla.

III

Le linee del campo di calcio sono state la nostra esistenza,

ho iniziato a Milano su un cortile fino a Pianazzo, segreto

tra le frontiere. Non si contavano le decine di maglie,

l’idea di tornare a casa che dava la vittoria e a Palone

grembiuli, fili di ferro, la terra e la notte.


Gian Mario Villalta è professore di liceo, saggista e narratore. La poesia di Gian Mario Villalta indaga il reale in modo guardingo, come se qualcosa stesse per venire a mancare, o fosse appena venuto a mancare, ma forse nessuno se ne è accorto. Il grande protagonista è soprattutto il tempo, un presente sospeso tra passato irrinunciabile – pur senza deliquio nostalgico – e futuro enigmatico. Il suo ultimo romanzo si intitola “Scuola di Felicità” (Mondadori, 2015). Da molti anni segue il panorama poetico italiano e dedica particolare attenzione all'opera di Andrea Zanzotto, collaborando al Meridiano Mondadori e curando l'Oscar degli scritti letterari. Inoltre scrive poesia e vince il Premio Viareggio 2011 con “Vanità della mente” (Mondadori). Il libro di poesia più recente è “Telepatia” (Lietocollle, 2016). È direttore artistico di “Pordenone legge: festa del libro con gli autori”.

Quando ero ragazzo, alla fattoria, dopo il ponte,

gli animali nella stalla, dentro il pollaio e il cane

alla catena tutta la notte intrecciavano i fremiti

sottopelle, i fiati, i sussurri al mio respiro,

fino a quando mi univo sommerso nell’onda

del loro sonno o quando un grido

avvertiva che altri animali, selvatici,

la donnola o il gufo, erano entrati nei nostri sogni.

Poi l'abbaiare, i tonfi, le imposte aperte

sul freddo. Il padre: “Inutile, a quest’ora,

tornare a dormire”. Il sonno invece avvolgeva

presto di nuovo me, i miei fratelli, gli animali,

e la casa e il fienile e il pollaio si incurvavano lievi,

lievitando verso l’alone della luna.

Ancora un minuto, un minuto.

Mi riconosce una fuga di echi.

La proroga tra l'essere

chiunque e il diventare me stesso

dura l'incalcolabile.

***

Ho una sveglia che ha il suono ostile

dei vecchi telefoni grigi, quelli

di quando abitavo nel mio paese,

con le cifre nella rotella dentro i buchi.

Una roulette dove punto ogni giorno

lo stesso numero e il sei esce storto.

L’ho presa dai cinesi: spero confonda

L’oroscopo – vergine e topo, bilancia e drago –

e ogni volta che squilla sogno qualcuno

che solleva al posto mio l’apparecchio

e sa cosa rispondere.


Müesser Yeniay nasce a Izmir nel 1984. In Turchia vince molti premi letterari. I suoi versi, studiati e calibrati, sono permeati di femminilità e ribellione e tesi alla volontà di riaffermare la sua natura biologica e umana di donna, la riscoperta del significato autentico e della reale diversità tra uomo e donna. I suoi libri di poesia sono stati tradotti e pubblicati negli Stati Uniti, in Ungheria, Francia, India, Colombia, Spagna e Vietnam. Ha vissuto in America e a Hong Kong. Müesser è inoltre editrice della rivista Diirden. Al momento si occupa del PhD in turco alla Bilkent University di Ankara.

Conversazione continua con l’amato

Mi sono aperta a te

come i denti di

        una cerniera

uno per uno

mi sono spezzata

        a metà

quando mi hai toccata

ho visto la gloria

        della terra

[nelle tue mani

ci sono piccole

        fate volanti]

hai visto quel

dolce vuoto in me

il mio corpo come neve che si scioglie

        fuso con il tuo corpo.

Amore

Ho un altro corpo

fuori di me

lo chiamano

amore

(ma questo è dolore)

se ti ho tenuto nel mio corpo

solo dopo ho sentito

così tanto

        la tua esistenza



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