
lalange
sul vuoto di senso, sul dolore del mondo, su quel pianto disseminato che è poi la storia degli uomini. Con questa nuova lingua la riconoscibilità del poeta è proprio nelledificazione di una nuova lingua, quella langue nouvelle di cui diceva Rimbaud la poesia di Elia Malagò può farsi interrogazione del visibile, e allo stesso tempo dialogo con il visibile, con il suo mostrarsi e il suo nascondersi, con il suo distendersi nel paesaggio fluviale e il suo ritrarsi nellaridità. Un universo stranito, opaco, doloroso prende campo: parvenze di quel che è assente, frammenti di una memoria dinfanzia che non lascia detriti ma corpi e gesti e luoghi vividi nella loro lontananza, sguardo sulle ferite e sulla cenere che il sapere della civiltà ricopre di indifferenza. Il desiderio non cessa di confrontarsi con i suoi orizzonti occlusi o offuscati. Ma in una natura che mostra la sua potenza e talvolta il suo patto con lapocalissi, si aprono a tratti cieli liberi e fluttuano immagini di forte presenza, di cui lestate che correva per mare e scollinava è quasi emblema. Che sia fosca o limpida la scena, i versi collocano
ogni volta il lettore di colpo nel mezzo dellaccadere. Ma tutto accade nella lingua, nel suo prendere luce e vento, suono e respiro, senso e dolore, libertà e vigore. Questo accadere nella lingua è la poesia.
1
ho dimenticato la lingua del pianto
e non so più
i sapori che a cascata stanziano sotto il naso
insalano le labbra guazzano il mento
sbriciolano il silenzio e
idioti
mescolano muco e arcani
vergognandosi
mi vergogno di queste parole
liberate
sconosciute
forsanche blasfeme
2
dico te ma sento me
non ho lingua e preghiera tua
che trapassi scorticata
e venga fuori a brani
gutturi
inson
miei
3
so che non cè lingua
cantilena forse
di passi daltri
contati in sonni non sognati
in notti di prima
che il tempo ha sottratto
so che di quella lingua
cancellata
da qualche parte
resta un chiodo
una polvere
bluastro il barlume
Nota. lalange è un refuso della memoria di lalangue con cui ciascuno si parla
soglie
ma quante ce ne sono prima che loltraggio basti
limiti che la verità buca con una sfrombolata
e viaggiano e viaggiano
viaggiano findove si spacca la terra
si sfalda il muro di tufo
precipitano gambe e braccia
i piedi ancora nella sabbia
gli occhi già inghiottiti dal sale
quando tutta questacqua finirà di sole
e vento, comincerà la conta
il margine
non lo aggiusti come ti pare la mattina
che sè placata la tramontana
non è la siepe che togli il dissuasore
si apre nonostante le spine
il margine è maestro che si prende corrente
garbino piene e rottami
conta i passi e le infamità
confida nei due gradoni del sottobanca
raccoglie confidenze e segreti
mulina laria di colma e si gonfia di collere indicibili
ma non lo aggiusti
non si aggiusta
ti ci devi mettere davanti
senza socchiudere gli occhi
spegnere
libera
solleva questo piombo di cielo
contro la quarta parete che cade fitta
di nubi a frastorno daria fogliame
e rabbiume
- diciotto anni prima che ancora la luna
savvicini tanto
misure e percentuali calibrate
il faccione di matto fisso
lì che ci guarda
da qui a diciotto fanno un mazzo di steli
lerica svasata lestate appena scorsa
lestate che correva per mare e scollinava
senza campo a cercare menta e rosmarino
avvitata lì
a una menzogna che rabbiosa e cattiva
si urlava dentro la sete
la fame
che ha traversato il deserto
e succhia le ossa che trova
ogni desiderio spento
te la figuri la notte che non saccende
quando lo scuro incappa il cielo in un sacco di plastica
e lo tiene stretto tra stelle scariche e antichi lallalli
spersi nel deserto?
che calenda di tempo e sperpero
che splendore docchi
tutto questo pianto disseminato
La poesia di Elia Malagò si nutre di silenzi e lunghi scavi: attraversa cavità carsiche, poi erompe e trova voce per uninterna necessità. Quando vince la resistenza del riserbo e dellindicibile, diventa un urto di immagini e parole, potente nella sua verità.
Qui, nei cinque respiri del componimento, la poesia restituisce lecografia del disamore, costruendo un ponte fra la superficie (levidenza di una vita e di un tempo ormai a pezzi) e il lavorio occulto di talpe, larve e formiche, che ne ha logorato le radici e ne ha costruito le ombre e la fragilità.
Se il disamore, infatti, si rivela allimprovviso e incrina la quieta lastra del non vedere, del non ascoltare, del non dire, prima del suo affacciarsi/spalancarsi ha, però, già camminato dentro la vita, ha inquinato le ragioni dello stare insieme, ha seminato spine e intermittenze stonate.
Per questo nel prefisso dis- Elia non riassume soltanto il difetto, lanomalia, la negazione, la diserzione damore, ma condensa la suggestione di un processo di lenta, insinuante, impercettibile macerazione: un inagrirsi del sentire.
Non dà, dunque, definizioni che fisserebbero quanto è mobile e progressivo, per ripercorrerne, invece, la vena sotterranea: sonda linvisibile, la ragione equivoca e livorosa, scioglie (in verbi di cova e di sfaldamento) la sostanza imprendibile del sentimento, sospesa fra il vapore, il pulviscolo e le scaglie senza forma del pietrisco.
Ci lascia con la sensazione di una muta, inarrestabile colonizzazione: il disamore, nel suo farsi, non conserva niente dintatto, neppure la memoria dei giorni buoni. Annebbia e svela, consuma pure le orme e i ricordi: le chiavi sono piccolo rasoio nel palmo di chi resta.
I
lo scopri per ultimo e per caso
il disamore
sotto una lastra sottile di foglie
un poco macere dacqua di riporto
o una grandinata di mezza estate
su uno sgrondo non curato
simpasticca di larve e frutti che cadono acerbi
- forse metteranno manti di tigre o
magari faranno nido
in un brusìo -
al riparo svolterà il solito autunno
Lì covano fiele e arsura
il pianto raggelato e
nel fondo
deposita silenzioso
il formicaio del rancore
II
il disamore è talpa insonne che inebria nelle caverne di tufo
smotta e cumula insonora
la cova
dissigilla segreti e sfarina
pulviscolo senza impronte
Poi un giorno di luce né forte né piana
un giorno di questi
bassi su meridiano polso e mediastino
un giorno ordinario che scorre sul binario
e dietro risucchia lorma di conserva
un giorno che fa somma e non si dispiace
quel giorno lì
spalanca le fauci rapido mostra
III
Cova come tutto il resto
cova figlia e sinvola
fossanche in cabina guardaroba a sventolo
sulle stagioni e il disordine che tanto
cchessarrammai
doppiare consonanti
abbassare le vocali
spingere lacceleratore spegnere i fari andare a manetta
a manetta
la manetta della scarpa che morbida calza
- vedi se conta la marca - sfrega il tappeto
e tornisce duro il valgo nellimpronta
IV
e il tempo frantuma in scaglie e pietrisco
un deserto di rose spinate crescono senza mostrarsi
ci sono e lo sai
perché gli occhi anche spinano
la vita va in pezzi piano piano come una cataratta
che si riprende le fughe del pavimento
lentamente le hai perse
fino a non cercarle più
intermittenze senza sussulto
V
tra luna e laltra vago il fruscìo
quello che sfonda luscio forse più liberato
le chiavi sono piccolo rasoio nel palmo di chi resta
nessun rendiconto
ché nessuno lha tenuto
il disamore è ragione equivoca e livorosa
trova un incaglio e depone
come il vapore sui fossi allalba dagosto
il deposito dell invisibile
come quando hai il nome nella mente
ma la linea che scorre sotto le palpebre
circumnaviga il viso ombra le labbra
e lì sul luminare lascia leggera
la striatura
della lumachella notturna
che insegue laura di una goccia
di sete
Elia Malagò (Felonica Po, 1948) si è laureata in Letteratura Italiana con Ezio Raimondi. È scrittrice e promotrice di attività didattiche legate alla poesia e alla scrittura creativa. Ha lavorato per la Forum - Quinta generazione e curato testi e antologie poetiche. Ha pubblicato numerose raccolte di poesia tra le quali Ci dev'essere un posto (Firenze, 1967), Saranno gli altri a testimoniare (Forlì, 1968), I discorsi di sempre (1970) con cui ha ottenuto il Premio Cervia, Buffa sonagliera (1978), Pita pitela (1982), Maree (1986), Incauta solitudine (Passigli, 2010), Golena (2014). In prosa, Lombra ripresa (Sabatelli 1988, TreLune, 1999; dal 2007 ufficialmente libero da ogni contratto editoriale). Per FUOCOfuochino ha pubblicato del disamore (2015) e lalange (2017). Vive a Mantova.