Anime. Di luogo in Luogo da Christian Boltanski
(al Mambo di Bologna)
E un percorso sensoriale, unesperienza fisica che implica
lattraversamento, limmersione del corpo percettivo e partecipe dello
spettatore nello spazio di Anime, di luogo in luogo per ricevere, o
meglio sentire, essere parte dell evento prima che comprenderlo
intellettualmente; una serie di installazioni realizzate dallartista
francese Boltanski in occasione dellomaggio resogli dalla città di Bologna
ripropongono fino al 12 novembre le sue opere più significative e due
inediti raccolti nella mostra antologica al Mambo, museo darte moderna.
Entri nelloscurità di specchi che rifrangono gli uni sugli altri dal fondo delle pareti nere di una stanza; in sottofondo un battito amplificato pulsa intermittenze ritmiche da una moltitudine di cuori archiviati e raccolti dai suoi precedenti lavori alla luce di una lampadina.
Entri dentro questa atmosfera rarefatta, velata e illusoria, lieve ed effimera ai sensi. Attraversi un portale come fosse una soglia del tempo che ti conduce fuori dallesperienza della realtà allaltra parte dellesistenza sensibile. Sul tessuto leggero e evanescente di una tenda vedi affiorare grandi occhi scuri, ritratti ricompongono e fanno scorrere da un fotogramma allaltro immagini in movimento di un volto, quello dellartista dallinfanzia alletà adulta nelle sue molteplici, fluttuanti sfaccettature. Entri e continui ad attraversare pareti di seta che si susseguono ad altre trasparenti e velate; ricompongono sguardi, occhi di volti persi nelloscurità proveniente da vite precedenti, anime che si affacciano e ci guardano dialogando attraverso le tende. Compaiono, si illuminano per un istante, troppo breve, poi ripiombano nelloscurità. Sono salvate come anime, riportate per un attimo allesistenza sensibile, non a quella terrena dei corpi ma, incorporee, in questi tessuti materializzano come immagini fotografiche di volti solo a metà focalizzati.

Luce e oscurità: è così che i volti si rivelano nelle tenebre attraverso
occhi grandi, aperti, magnificenti e resi visibili sui tessuti. Traspaiono
là per un istante sulle tende, il volto primo specchio dellanima, per
questo tanti gli specchi convocati allinizio del percorso. Battiti
cardiaci, regolari e ad intermittenza sul sottofondo. Attraversi
sensorialmente, di luogo in luogo le varie isole o punti di sospensione di
un percorso libero, vago quanto sotteso a due indicazioni essenziali;
Départ e Arrivée.

La Luce o la sua assenza, le intermittenze sonore, le apparizioni di immagini e laltrettanto rapido ritorno alla semi-oscurità sono parte integrante della mostra insieme ai temi ricorrenti, alle eterne questioni o ossessioni che da sempre accompagnano Boltanski: la coesistenza di vita e morte nellesistenza sensibile come nellesperienza percettiva che egli mette in scena; la necessità della memoria contro la corsa ineluttabile del tempo e la distruzione del medesimo, infine il bisogno di testimonianza ricreando tracce, reali e fittizie per raccontare, restituire una versione possibile della storia, infine rielaborare una memoria intima e collettiva in parte rimossa .
Ombre nella prima stazione sono quelle oscure che si affacciano dal
sotto-mondo, piccole e basse frequenze materializzano in scheletrini appesi
alla figura evocata nella proiezione in nero espansa sulla parete. Una
maschera digrignante e fantasmi appaiono sospesi da fili al profilo
delineato al centro come piccole marionette dal regno delle ombre.
Attraversi le tende, incroci le auree evanescenti dei ritratti che
ricompaiono vagando di luogo in luogo tra le installazioni retrospettive di
Boltanski fino che al centro della galleria dove ti imbatti in una sorta di
montagna incantata; una struttura piramidale si eleva verso lalto
ricoperta e metallizzata in oro attraverso coperte isotermiche utilizzate
oggi per prestare un primo soccorso ai profughi migranti in Europa. Delle
tante morti anonime in mare tra i molti dispersi in tragiche condizioni
sono i fantasmi senza nome, le prime anime alla deriva volutamente evocate
da Boltanski qui per rendere loro un ultimo omaggio. Unaspirazione
allassoluto sembra imporsi con la luce delloro nelleterno ritorno
dellanima alla divina perfezione senza dubbio nella sua proiezione
luminosa, espansa ed elevata verso lalto in ascesi come questa montagna
incanta. Al centro della galleria essa sola è illuminata dal raggio
chiarificatore di una grande lampada accesa.

Autel Detective primo altare di fotografie e memoria assembla immagini
in bianco e nero su un fondale oscuro e lampadine blu alogene a illuminarle
in primissimo piano . Unisola del passato riaffiora in un approdo
istantaneo della memoria, in un salvataggio in extremis attraverso i
volti ridenti di giovani da un tempo prima del conflitto mondiale. Autel
du Lycée Chases, allo stesso modo è un arcipelago di volti adolescenti di
giovani ebrei a Vienna prima dellavvento del nazismo. Sorridenti in
primissimo piano, in bianco e nero sfuocato, i grandi ritratti si rivelano
attraverso i loro tratti espansi e fluidi alla sola luce di lampadine
puntate contro nelloscurità circostante. Tale, un modo per dare dignità,
mettere in luce e in rilievo la verità unica e inconfutabile iscritta,
incisa in ogni singola vita come traccia, lascito di una storia individuale
e insieme riscatto di una memoria storica e collettiva ancora in parte da
rielaborare. In Monuments i volti sono sempre più grandi in bianco e nero
fluido ora totalmente presenti come auree di corpi svaporati, aloni
luminosi e vaghi, involucri spirituali di anime rivelate in traccia
fotografica nel profondo chiaro-scuro dalle lampadine, unica fonte di luce
circostante.

Scatole di latta simili a cassetti per la classificazione di dati sono
impilati ad archivi ai piedi delle fotografie come altrove erano i ritratti
svuotati delle figure, in primo piano sui sostegni commemorativi in ferro.
Questi cassetti, oggetti fittizi investiti di un forte portata evocativa
sembrano stranamente provenire dalle classificazioni illimitate di
documenti celati nei passati regimi nazional-socialisti o sovietici dove
tutto era registrato, catalogato, archiviato, passato al setaccio e in gran
parte censurato dal grande occhio di uno stato totalitario, da un partito
unico centralizzato nei suoi massimi funzionari. In Boltanski tali oggetti
simbolici, segni tangibili di una memoria traumatica filtrata dalla
generazione post-olocausto appaiono riportati in vita ma traslati rispetto
al loro uso originario divenendo archivi ricreati della memoria. Riesumati
anche se vuoti come contenenti-contenitori fittizi, appaiono comemonuments essi stessi di un apparente bisogno di restituire o riscattare
un passato anche attraverso la sua finzione, per sfuggire allinevitabile
oblio insito nella cancellazione inesorabile del tempo; verità universale e
insieme messa in scena palese alla quale lo spettatore potrà aggiungere una
propria percezione dellavvenimento. Appaiono qui come mattoncini di latta,
cassetti estratti da vecchie scaffalature arrugginite, urne cinerarie,
infine i supporti per le fotografie. In fondo al percorso illuminati da una
luce blu elettrica a neon, impersonale gettandosi in linee taglienti sugli
spigoli appuntiti si ergono a muraglia cinese fatta di scatole di latta
dalle sfumature in ferro e ruggine con piccole foto di identità incollate
sopra e lampadine puntate contro a rendere loro giustizia.

"Animitas, (Blanc, video)
Epilogo in uno stato di inusuale e apparente quiete
Primavera sulla terra qui, il suolo vivente, lhumus, lerba impiantata a
vivo sul lastricato della galleria. Il fieno tra i fili derba, lodore
della terra presente nello spazio, piccole zolle, fogli, fiori come di un
campo verde in parte germogliato in parte lasciato essiccare al sole,
simile a fieno.

Sullo schermo, limmagine in immobile movimento, bianco come neve ma nella
fluttuazione di correnti aeree di primavera. Non sappiamo se il tintinnio
insistente di campanelli al vento muovendosi su un unico piano sequenza,
filmato dallalba al tramonto nel deserto di Atacama in Cile, sia solo un
campo ricoperto di neve con cavi metallici risuonanti del loro interno-
quasi in impercettibile eco - se si tratti un cielo stellato pervaso di
punti ascendenti e luminosi visto da distanza dalla terra oppure di fili
mossi dal vento germogliando, risalendo verso la superficie nel moto
continuo della vita contro la pallida immobilità circostante. Resta la
sensazione o meglio la suggestione poetica di qualcosa di effimero, lieve e
appena percettibile ai nostri occhi , quasi inesistente eppure fuori dall
atmosfera dominante di morte-in-vita, di oblio e ritorno a una eterna
assenza del resto dellinstallazione; ed è forse solo per quel contatto
diretto, a piedi nudi quasi come su un campo verde,
di fieno e fili derba germogliati nellabbraccio rigenerante della natura. (elisa castagnoli)
