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Viviana Scarinci - Annina tragicomica

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Viviana Scarinci - Annina tragicomicaViviana Scarinci - Annina tragicomica - Formebrevi edizioni, 2017
Mi pareva di conoscere il lavoro di Viviana Scarinci, di avere qualche chiave per penetrare la sua scrittura. Un lavoro che complessivamente apprezzo, come apprezzo le qualità intellettuali di Viviana. In altre occasioni avevo scritto alcune note su di lei e le sue cose, in particolare su Piccole estensioni, con cui aveva vinto il Montano (v.QUI ) e su un altro lavoro dal bel titolo L'amore è una bestia cronica , fatto in collaborazione con il pittore Sergio Padovani (v.QUI ). Avevo inoltre letto, anche senza poi scriverne, La favola di Lilith, una pièce breve in due atti in collaborazione con Edo Notarloberti (Ark Records, 2014, con CD), un lavoro ambizioso e interessante, in cui viene messa in scena, come simbolo protofemminista della donna che guarda al cielo, aspira a congiungersi con Dio e non vuole sottomettersi all'uomo, colei che secondo la tradizione cabalistica fu la prima moglie di Adamo, ma anche, sempre per tradizione, portatrice di elementi demoniaci. Avevo anche avuto modo di leggere qualche estratto di Il significato secondo del bianco, da qualche parte in rete.
Insomma, mi pareva di avere qualche strumento più o meno adatto all'uopo, pur nella consapevolezza che quella di Viviana non è una scrittura facile, che nel tempo è andata connotandosi, mi pare, per una ricerca soprattutto sul linguaggio e sulle sue pieghe. Ma devo dire che questo Annina tragicomica mi crea qualche difficoltà di "ingresso". Che la prefazione di Anna Maria Curci non contribuisce a risolvere del tutto, dato che dopo averla letta mi rimane l'impressione che pur abilmente abbia affrontato il lavoro come  un kubrickiano monolite.
Diciamo intanto che non si tratta di un livre de chevet, da leggere distrattamente. Ha bisogno dei suoi tempi e di riletture organizzate. Ma provando e riprovando, come gli accademici del Cimento, alcune cose mi pare siano emerse. La prima riguarda indubitabilmente il tema di fondo, quello che potremmo chiamare il basso continuo o il canone ricorrente. Il libro intanto non è una raccolta, termine che sarebbe fuorviante. Rientra immediatamente in quellla forma lunga che in questi ultimi anni sembra essersi riproposta, che sta tra il poemetto strutturato e la legatura (usiamo un altro termine musicale) di brani che per semplicità diciamo di prosa poetica o prosa in prosa. Lo dico per intenderci, prendendo comunque atto di quanto scrive Viviana in una nota finale, rifiutando qualsiasi capziosa catalogazione in questo senso (e mi pare che sia pacifico - anche - che ogni autore non ami essere catalogato), quando afferma che "mi è capitato di ritrattare la parola verso anche dal suo etimo, in favore di una scrittura senza quell'argine, cercando qualcosa che si adattasse meglio alle complessità in perenne transito (...), senza sconfinare nella prosa". Qui ci sarebbero da dire un paio di cose, ma ne parliamo più avanti. Sono due le sezioni del libro, ben intravate all'interno di ciascuna e tra di loro, Bambole e bambine e Annina tragicomica, titolo eponimo. entrambe di trentacinque testi. I titoli, qui, danno i protagonisti, gli attori, e i temi. L'idea e il pensiero di Viviana, diciamo la missione, continuano, come nei lavori precedenti ma a diversa profondità, l'indagine non tanto sulla condizione - che è termine sociologico - quanto sullacostituzione in essere della donna, del suo divenire ed essere - nel corso della storia e contemporaneamente - natura generante e catalizzatrice di colpe, educatrice ed educanda, forza ctonia e elemento celeste, figurante generica e protagonista, e così via ma sempre nell'ambito di una percezione, certo tutta maschile, per così dire verticale, che la guarda o in alto o in basso, a seconda. Ma soprattutto, io credo, la sua capacità (e la capacità dell'autrice) di interpretare e leggere lo spazio siderale che sta (citando il Mesa presente in un esergo) tra "lo spreco di minuzie" e "il senso degli atti", mediante (cito Curci) "altre modalità di accesso alla conoscenza". E un'indagine che, aggiungerei, si sposta da un ambito più o meno privato ad un altro più universale. E' un'interpretazione possibile? Forse. Che lo sguardo sia femminile, e non solo per questioni autoriali, non c'è dubbio. La bambole e le bambine, Annina e le sue derivazioni (Annie, Anna, Annetta, eteronimi, alter ego bifronti...) sono lì a dimostrarlo per indizi. Minuzie, frammenti, frammenti di frammenti. Che da questo si possa risalire al senso, ricostruirlo, è l'ambizione e il miraggio di parte della poesia italiana contemporanea. Che a volte ci si avvicina abbastanza. E' questa può darsi la (una delle) "modalità di accesso alla conoscenza" di Curci. E indizi, dunque, che sta al lettore reperire. Indizi che non è facile estrapolare se non trascrivendo interi testi, perché intimamente intrisi come elementi chimici nella fibra testuale, nella poesia (o prosa) stessa. Sono i testi medesimi che si prestano ad una lettura polifunzionale, per così dire, che offrono la possibilità al lettore (l'"apertura" del testo) di sovrapporre un dato ideale o l'altro, una fiction o l'altra, una immaginazione o l'altra, senza che tuttavia gli sia possibile dirottare, nell'insieme, dalla visione che è di bambine, bambole, Anne, Annette, e ovviamente dell'autrice (la corrispondente "chiusura"). Che qui elabora la riflessione costante e evidente che certo ha animato Viviana come donna anche al di fuori di un ambito "finzionale". Vedere, come piccolo esempio abbastanza superficiale, il brano 20 qui riportato, che agisce per lo meno su un doppio binario, uno puramente narrativo, l'altro culturale e metaforico, senza contare tutte le evocazioni della parola/target "malaffare". Penso che questa lettura polifunzionale sia dovuta a un certo grado di neutralità della lingua adottata, parlo di neutralità emotiva che non "pilota" necessariamente verso direzioni specifiche, parlo anche della selezione semantica, della voluta ambiguità di un tono talvolta verbalizzante, delle tecniche di disallineamento sintattico o di diacronia, come ad esempio la sospensione delle clausole (chiusure) in certe catene sintattiche, che tende a rivoluzionare l'aspettativa ordinaria di chi legge, e così via. Un effetto anche molto affascinante, come l'osservazione di un frammentato ma continuo pensiero dominante.
Ci sarebbero di sicuro altre osservazioni da fare. Ma lascio in fondo alcune considerazioni extra corpus, di carattere generale. Mi pare di percepire in questo lavoro una certa progressiva distanza rispetto a quelli precedenti, che non è tematica né concettuale. Distanza che è data, pare a me come lettore abbastanza empirico, soprattutto dal lavoro sulla lingua, come ho accennato prima, sul livello comunicativo che questo libro realizza. E' un discorso di una certa importanza, non solo in relazione all'opera in sé ma anche all'idea di poesia in genere. Su quanto cioè il linguaggio influisca sull'oggetto della poesia, sul suo tema, mutandolo; se la poesia debba essere un'arte mimetizzante, piuttosto che mimetica; e così via (ma sono solo piccole parti della questione). E soprattutto se la ricerca poetica, come pare sia, debba essere quasi esclusivamente sul linguaggio, nella convinzione che da esso le cose si incarnino, che dalla sua torsione, condensazione, astrazione le cose poi emergano. Se così fosse mi pare ovvio che l'oggetto in sé diverrebbe secondario rispetto al modus. Tanto per fare un esempio ancora banale, quello che Lilithportava in sé era un diverso livello di fruibilità e rappresentazione, intendo proprio dal lato lettore.
Naturalmente Viviana è artista troppo intelligente per fare del linguaggio un mero totem. Per cui la distanza (una delle distanze) è semmai nel grado di evidenza del contenuto che la sua scrittura trasporta, basti pensare a categorie forti come il "tragico" e il "comico", qui parecchio dissimulate; o nel grado di allusione delle tematiche o meglio, nel lavoro metaforico ma soprattutto metonimico (usiamo in senso ampio questo termine) di scambio e sostituzione, e non necessariamente per contiguità e nemmeno reciprocità, tra "oggetti" e lingua e anche tra segmenti di entrambi. Un'idea, se questa mia impressione è esatta, già di per sé intrigante ma di estremo impegno.
Siamo insomma testimoni di un percorso abbastanza evidente, di cui Viviana ha perfetta consapevolezza e padronanza, dagli esiti ancora aperti. E questo percorso, ripeto, ha un valore e un fascino. Ma anche io credo (e ora più che mai parlo in termini generali, e forse anche per me stesso) un limite per così dire "fisico" della scrittura (almeno quella lineare e semica). Come la conduttività del silicio, la cui riduzione pone una barriera oltre la quale è difficile andare. (g. cerrai)


da Bambole e bambine


3

Visto da qua il creato è una tradotta ortogonale che obbliga
all'orizzonte. Al termine vi sono sfere celesti e opere custodite
dal tempo che non lesinano partiture sensienti. Un po' più sotto,
un albo irrotto da una qualche cisposità, sconsacrato e neanche
laico, aspetta l'estinzione.



7

Dire che la bambina non sia intelligente non è esatto. E che in
essa non rinveniamo traccia di profondità e se ciò vi appare una
considerazione di ordine morale, vi sbagliate. In questa bambina
non albeggiano né il bene né il male. Diversa da quanto
ci aspettassimo si presenta nella stanza e stringhe di luce le tagliano
le terga e non si intravede nulla che aiuti a ordinare la fila
avita di abbondanza, desolazione, agi e morti precoci ma il cinguettio,
lo squittio udiamo, l'avanzata di malaccorta ferraglia.



7

Dire che la bambina non sia intelligente non è esatto. E che in
essa non rinveniamo traccia di profondità e se ciò vi appare una
considerazione di ordine morale, vi sbagliate. In questa bambina
non albeggiano né il bene né il male. Diversa da quanto
ci aspettassimo si presenta nella stanza e stringhe di luce le tagliano
le terga e non si intravede nulla che aiuti a ordinare la fila
avita di abbondanza, desolazione, agi e morti precoci ma il cinguettio,
lo squittio udiamo, l'avanzata di malaccorta ferraglia.



20

La stroncatura aggiunge una differita ai semi del melo che
germogliano complici della clemenza di altri allacciamenti.
Nascono abiti dagli orli vivi per Eve esposte a un nuovissimo
malaffare. E anche queste cercano il loro precariato a partire
da un niente, da un dolore da nulla per mangiarsi adagio e dal
principio la mela, a fettine sottili.



29

Tempo prima, ma non ricordava, doveva trattarsi di una sua piccola
innata cattiveria. Il fenomeno poi si era avvalso di un'ostensione
che appariva connaturata solo di rado, quel principio
di malvagità più spesso era attribuito all'arbitrio di quello che
venne poi. La minuscola cattiveria intanto viveva il suo abbandono
nella triangolazione sottocutanea di un'invisibilità nativa.
Era la sua mantenuta sparizione ciò che ora rimaneva in equilibrio
sui tacchi, nel colpo più profondo, viva e miscreduta, senza
più nessuna esuberanza.



32

Nessuna riluttanza o tedio, di nuovo fuori, volenterosa e per
ultima, fino forse a domani che vuole rivelarsi eterno quando
l'apologo è più labile, sovrapponibile, inestricabile e sferzate
espongono quella che sarebbe dovuta essere una bambina
a diventare l'atto denaturato di quanto da altri abbia avuto in
consegna.


da Annina tragicomica


4

All'inizio succedute cose erano timidi progressi, fattezze
pronte e contigue a disserrare la stessa agonia, io - noi, non che
osassimo sfiati descrittivi a divaricarne il glossario ma contare
avremmo dovuto, patire racconti nel numero dato anziché
collezionare garze, guanciali che il battiloro riduceva spessi
il micron dell'ennesima defezione, contigui l'altra durata dei
giorni, liminari il loro ammanto di battigia non combaciata.



8

Attraverso i vasi della sua prerogativa, il poeta, senza dar conto
a nessuno, traversava uno iato, come negoziassero ogni minuto,
l'una e l'altra gamba, la propria dipendenza di sillabe diverse,
stornate da non so che equilibrio. Intanto Annie, Annetta,
Annina tragicomica, scantonava altrove, egualmente acquartierata
in una disparità pedestre che invece - lei, non la tratteneva
dal ridondare.



13

Una mattina, al colmo di quell'inconfessabile delirio, attentò
alla prassi, nell'abbordare l'adagio di tutti. Mentendo il masochismo
del gesto, fuoriuscì prona, rimandata per sempre la
seduzione verso cui tutto volge. Ovviamente nulla appariva mutato
nell'aspetto, dritta Annetta camminava andando verso quel
farsi male, sistematicamente.



15

Evadere la specie era come evadere l'ordine di un numero preciso
di oggetti appartenuti a due nell'atto di una momentanea
condivisione. Ma poiché, in questa storia, uno dei due era Annina
ogni criterio risultava una provocazione e il disporsi degli
oggetti qualcosa di equivoco, tanto che qualcuno, un giorno si
accorse che per nutrire l'ossimoro di tutto quel volere, era il
nulla ciò che Annina si iniettava tremante in vena. Il nulla è un
embolo: non dimentichiamo di averlo appreso grazie a Annie.



18

Con quel cielo pronto a morire, in uno di quei giorni trascurabili,
le si presentò, inaspettatamente Madame. E da quelle parti,
quando arrivava l'approvazione, si pretendeva che quel giorno
fosse più giorno degli altri. Questa volta però Madame se ne
stava immobile, senza enfasi, forse avendo già applicato la meccanica
preventiva di ridurre all'inesistente il confronto con Annetta
e sinceramente pensando di fare lo stesso con il suo gene
tumorale.



24

Cose vivìbili e persone pigramente insuperate, affacciano, è
naturale. Inconsapevoli, montano oltre il pretesto doloroso e
instabile di quell'artefatto che chiameremo ignoranza, raccapriccio
specioso e berbero che Annetta ha ereditato da chissà
chi. Ma il/la pretendente, avvinto/a dal neutro che articola la
sua profferta, con l'inevitabile disfatta, può solo illustrare la
mancanza di neutralità di Annina.



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