Villa Dominica Balbinot mi ha mandato questi testi qualche tempo fa,
chiedendomi che ne pensassi. Li ho letti con un certo interesse, perché
indubbiamente escono un po' dagli schemi, se si va oltre una impressione
non del tutto peregrina di forme crepuscolari innestate con dosi massicce
di simbolismo. Il primo appunto che ho preso, scritto a margine, è stato
per la verità "poesia barocchetta". Volendo forse significare con questo
non solo una scrittura con forti circonvoluzioni e priva di spazi aperti ma
anche dove il paesaggio, inteso in senso lato sia come naturale che umano,
si defila, a favore della costruzione, o si rappresenta come un fondale o una quinta, in una maniera che mi
ricorda l' Isola dei morti di Arnold Böcklin. In realtà qui, restando al barocco, c'è sì molta
complessità ma poco capriccio, perché il tema o quanto meno l'atmosfera prevalenti sono compatti e
concentrati, tendono a dare al lettore (e qui si torna al simbolismo) il suggerimento di una visione assai convinta e personale del mondo. Che è certo, coma
annota Anna Maria Curci (altre poesie appartenenti a questo blocco sono
state presentate su Poetarum Silva) un "mondo dissestato, funestato", per
quanto di "straniata bellezza", su cui Balbinot getta "una luce che non
teme di essere cruda". Sulla crudezza possiamo essere d'accordo, almeno se
si tiene conto del lessico e relativi annessi usati dall'autrice in
funzione espressionistica (e vale il breve accostamento che ancora Curci fa
a Gottfried Benn - si parva licet però): qui troviamo silenziato omicidio, acque fresche e pericolose, carnarie mosche, eterno gennaio, terreno
insanguinato, bagliori lucidi e freddi, qualcosa...di cruentemente esatto,
patiboli reconditi, leucemica fragilità, narrazione del sangue, consuntore
morbo, dissezione delle cose maestose, anni di espiazione e delle cerimonie
esequiali, esasperata desolazione, degenerativo stato, camera dei suicidi in un albergo, l'innominata carne ferita dei morti, e così via. Ma non è tanto una questione di sintagmi quanto di
costruzione anche sintatticamente complessa di un testo che definirei, per
usare parole della stessa autrice, "livido e sontuoso e torbido" (quindi se
barocco c'è, verrebbe da dire con una battuta, è barocco spagnolo). In
aggiunta a queste ultime parole citate, a volte si ha l'impressione che in
un certo qual modo Balbinot parli criticamente di sé quando scrive di
"estetismo nero e profetico" (o forse profetizzante, direi), o di "vasto mondo
crespuscolare". Ma anche in questi rari casi di espressioni didascaliche e
forse un po' ingenue l'obbiettivo è il tratteggio di una atmosfera
perturbante in cui il lettore deve accettare di permanere o no. Possiamo
aggiungere a queste cose un uso programmatico del lei (terza persona) come soggetto sostituto del tu (che come sappiamo è un ulteriore camuffamento dell'io poetico) e a volte
forme verbali al passato che accentuano abilmente uno straniamento di tipo
temporale e un senso di definitivo e tuttavia attuale. Immagino che questa lei sia l'autrice, immersa nel suo "mondo", che è di volta in volta "della
realtà", "crepuscolare" ma "aperto da ogni parte" (corsivo dell'autrice), "di silenzio", "bluastro", ma più che altro
"grigio" o di una "debole colorazione ossidata - di un metallico paesaggio" (c.vo aut.) e di svariate altre connotazioni. Ma soprattutto un mondo in
cui si avverte come una presenza di forze esterne non del tutto chiare né
del tutto controllabili, un mondo molto poco popolato, solo da lei, e da essi che se capisco bene non sono tanto "altri" quanto un "noi", cioè un plurale
di quello stesso lei, una condivisione dell'angoscia e forse il dolore che pervadono l'ambiente
e di cui l'ambiente è proiezione. E poi i morti, evocati non solo
direttamente ("nella loro innominata carne ferita") ma anche sotto forma di
aggettivi (morti occhi, vie, fiori, foglie, cime), o come correlati
semantici (mortalità, uccisioni, ad esempio). Insomma Balbinot ha
sviluppato un suo stile, con una certa accuratezza linguistica, con molti
echi, che aderisce bene alla tematica che si è scelta, e che in pari
misura, va da sé, può generare interesse o respingere. Per concludere: se
si aggiungono caratteri anche indubbiamente romantici come un certo senso
dell'assoluto o una certa irrazionalità o un'idea di sublime che sovrasta
l'uomo, allora cos'è che tiene insieme e fonde il barocco, il crepuscolare,
il simbolista, l'espressionista, il romantico? in altre parole cos'è la
poesia di Villa Dominica Balbinot? Ma è ovvio: è poesia gotica. (g. cerrai)
IN UN CORRIDOIO DI LUCE DURA
In un corridoio di luce dura
(e superfici fragili)
una stessa ferma aria
risplendeva in tutta la sua fredda forza
nelle città costruite su fiumi sotterranei
luccicanti disperatamente nelle sere
-e tra gli scheletri di anonime piante grigie...
Ci si mise di fronte,
a tutta quella cifra folle
scintillante assoluta
del predatorio dellinsaziabile
delle brevi ustionanti alleanze
-in tutto quel dolce organico odore
( Facciamo finta di essere degli alberi,
noi stessi recisi,
ma a rimarginarsi da quel punto
tra i dubia -e i legami feroci:
io desidero commettere il terribile,
latto del toccare,
linnocenza è proibita qui,
attira il castigo).
26 GENNAIO 2017
OGGI I FIORI SONO PIU DIVERSI
Oggi i fiori sono piùdiversi
più aridi più aperti:
ho già pianto la sua morte,
ma lo farò ancora
-e poi ancora
Nella mistica speculazione,
nella esasperata desolazione misteriosa
perseguo
la narrazione del sangue,
convoco i miei morti
( Il cielo è pieno di strumenti esiziali).
E considero tutte le cogitazioni
nella dimensione de la terribilità,
di una resurrettiva esigenza
-di quella formale ultimazione
[
Deve essere bello
Deve essere un inferno
Deve essere un deserto.
..]
3 FEBBRAIO 2017
NEL FREDDO ROVENTE
Nel freddo rovente
( in quel rovente vuoto minerale)
il baluginio era feroce
come di sfolgoranti cavi recisi,
-e tutto era malsano
troppo vicino.
Allora ci si stava come disfatti,
nella desolazione delle gole,
-di quegli altopiani colore di ruggine,
talmente sconfinati
( e-oltre
lenorme notte della città,
fredda e illuminata di bianco,
in un mondo bluastro).
Essi si sentivano stratificati
con una intensità quasi organica, come le
morte foglie:
in lei,la stessa -leucemica fragilità
-da convalescenziario,-
davanti a tali denominazioni,
alle tavole attuarialia tutta quella
substantia vitrea
28 FEBBRAIO 2017
E ALBERI CHE SMORIVANO IN UN BIANCO DELIRIO
E il sole gelido cominciava,
a perdere il suo splendore,
nel profumo lieve
-di una magnificenza trascorsa
(e gli alberi che smorivano
erano un bianco delirio)
E cè una gioia,
nella sua solitudine allalba,
nelle strie di quella aurora scarlatta,
e per un momento
( terribile e delirante)
legge il martirologio
di una scarna e statuaria bellezza,
di furia fredda.
Nei minuti supremi
di questo eccezionale tragico quotidiano
( durante lo schiodo della salma,
e una schedatura dei patiboli reconditi)
sente una pressione calda
spaventosamente viva:
allora, solo allora
(prima che tutto il rosso e loro
dilagassero in frettada un ramo allaltro)
i sorbi selvatici
si erano appena tinti
di un cremisi scuro,
e già si trasformavano
in arbusti ardenti di puro carminio.
[ Con un tempo di sgelo,
tra dirupi di gemme]
6 MAGGIO 2017
NELLA CONTRATTA LUCE,
NEL PAESAGGIO ARSO
Nella contratta luce
(oltre il muro della vicina casa)
vi è un che di recente penoso
inutilmente tetro:
continuava sempre il disgelo,
e radici deformi affondavano nella terra,
come se e del freddo le ustioni poi
fossero..
Ora è venuta qui
nel paesaggio arso-
solo per vedere gli alberi,
perché non ci sono più colline deserte.
In quel suo degenerativo stato
( di anormale tensione
di inaudito senso)
prova una affezione singolare:
tra tutti questi rimpianti
e i malsani
(come vento tiepido)
sotterramenti
,
(oh tutti tutti quei delitti impossibili!)
al di sopra di violenze, e delle estenuazioni,
di una qualche probatio diabolica
le pare di vedere un unico grande stupendo
e terribilmente statico albero verde.
30 MAGGIO 2017
DIRUPPE ALLORA
( Diruppe allora, la pioggia
in quel pervertimento:
era il tempo della sparizione
)
La sua era una animazione-
puramente febbrile
in un paesaggio geologico- e silenzioso-
( qui tutto è innaturale
lei si diceva-
-e poi per tutto quel lungo lunghissimo
tempo
)
aveva in cuore qualcosa di torbido.
E in quella- sua- relegazione
vi erano certi bagliori lucidi e freddi
e tutto intero quellimpulso selvaggio
In fine poi si disse che
tutto tutto era poi un qualcosa di
tormentosamente reale
di cruentemente esatto.
17 GIUGNO 2017
DAGLI ESTREMI GELATI- NERI ORLI
... Dagli estremi
gelati neri orli
la notte iniziava a impallidire
( e il cielo- e le cime morte e misteriose
nellaria grigia)...
Amava lora,
la quieta oscura ora lunare,
quel suo immenso vuoto scintillante
nelle correnti pallide , in fascinose fantasie
bianche...
In quellaria da eterno gennaio
tutto le sembrava fantasmagorico e remoto,
vago -e vertiginoso:
davanti a quella rigida perfezione
( quale mente terribile- si diceva)
un silenzio vuoto pendeva
tra tutti quei nomi grigi,
e le tombe recenti
- e le lunghe marce sul terreno insanguinato
(con un sentore di piccoli delitti antichi)
Solo lei metteva una
povera piccola fioritura-
(e i monti erano freschi e virenti).
19 LUGLIO 2017
DALLE NAVATE DEGLI ALBERI GERMOGLIANTI
Dalle navate degli alberi germoglianti
( si stendevano belle e lucenti
nei lunghi giorni perfetti)
si arrivava alla tacita linea di acqua,
linnominata acqua scura,
un assoluto solitario
quasi sotto lorlo angusto
Dopo il crepuscolo azzurro
la notte era molto tranquilla,
e quei morti intorno a lei
- nella loro innominata carne ferita-
erano sostanziali misurati e preziosi
capaci di movimenti lenti e terribili.
Tra sofisticherie e sottigliezze teologiche
lei aveva una espressione di fredda
- e pensosa- riservatezza,
nelle possessioni- tutte sue-
( e dopo il macello geometrico)
Tutto lincesso
per quella strada ardente
era astratto e scabro
come la camera dei suicidi in un albergo
e il cielo si era rannuvolato intanto,
striato dai cardati fili colore di seppia,
che erano sul punto di precipitare.
17 settembre 2017