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Fabio Orecchini - PER OS


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Fabio Orecchini - Per os
Fabio Orecchini - Per Os - Sigismundus Editrice, 2016
Conosco Fabio da un po', seppure alla lontana come permettono i mezzi attuali. Lo conosco almeno dal 2011 (v.QUI ), da quello che posso considerare, per quello che ne so, l'inizio di un percorso poetico (ma non solo) attraverso una realtà che per lui non era possibile accantonare o considerare come elemento illeggibile e buonanotte, o qualcosa da aggirare "ermeticamente", come intorno a un idolo di pietra che ci restituisce indietro l'eco dei nostri inutili lai, ancorché alti. Almeno da Dismissioni la realtà ha una faccia precisa, si manifesta concretamente come espressione del potere totalizzante, una feroce sineddoche, una parte che si prende il tutto, in una lotta (di classe? perché no?) che lascia sul terreno vittime altrettanto reali. Il punto di caduta si realizza nei luoghi dove si condensano le dinamiche e gli attriti tra singoli e sistema, dove la chimica e la fisica degli scontri residuano sul campo scorie significative, e ferite. Dove i nodi vengono al pettine. E' il lavoro, è l'ambiente, è la vita chiusa in un cerchio produttivo/riproduttivo regolato quasi sempre da altri. E' il cataclisma, il disastro , qualcosa cioè che in principio attiene a qualcosa di destinale, ma che poi ricoagula rapporti asimmetrici tra singoli e sistemi, tra colpiti e chi è chiamato a fornire una risposta. Dismissioniera, come scrivevo, il libro "di una tragedia, anzi di una catastrofe industriale, del lavoro, della salute, della disgregazione sociale e familiare che a quella catastrofe si accompagna, la chiusura degli stabilimenti, il loro smantellamento e - prima, contemporaneamente, dopo - lo smantellamento chirurgico di chi ci ha lavorato rimettendoci i polmoni"; qui invece lo spunto di una riflessione poetica è il sisma che ha colpito L'Aquila e il territorio circostante, non tanto nella sua immediatezza quanto nella sua sedimentazione di strati, fisici e morali, da cui è necessario risalire dolorosamente alla superficie. In altre parole (quelle di Fabio), una "allegoria della crisi antropologica e politica del contemporaneo".
Dette così le cose, potrebbe sembrare che il lavoro di Orecchini sia ascrivibile alla vasta e indefinita categoria della poesia (o altra arte) civile, categoria che quasi inevitabilmente porta con sé almeno due connotazioni, una "politica" (nobile quanto rigida), e una "realistica" (idem come sopra). A me pare, in realtà, che l'espressione artistica di Fabio (scrittura e non solo) sia sufficientemente moderna (e forse post-) da sfuggire a certe secche, soprattutto perché i "luoghi" di cui si diceva sono qui eminentemente metaforici (o metonimici) ma anche - e forse qui in maniera precipua - luoghi del linguaggio, dove il linguaggio riprende la sua forza ove si libera da schemi per così dire "economici", legati ad una produzione di senso di basso livello. Quindi, tuttavia, politica lo è, ed è certo, se mi si passa un aggettivo un po' desueto, militante, anche nel senso dello studio della materia e della ricerca "sul campo" che sta dietro a questo lavoro. Un approccio complessivo a cui Orecchini non può rinunciare, può solo sottoporlo a critica, rivederlo, saggiare il suo grado di adattabilità all'oggetto della sua attenzione artistica.
Ci sono diversi livelli in quest'opera, come già nella precedente, un lavoro non facile da descrivere. Direi che Fabio ha portato a maturazione espressiva un formato di fruibilità multipla, per canali diversi. Anche questo libro non è solo un libro. E' un testo, riguardo al quale occorre tener conto della sua struttura, della sua forma grafica, della sua lingua; è nello stesso tempo Terraemotus, una installazione multilivello multimediale (anzi intermediale), che dopo aver girato varie collocazioni ora è in rete (e quindi fruibile senza allontanarsi dal testo ma che col testo canonicamente inteso ha un rapporto non strumentale nè di mero supporto iconico, ma apporta semmai una somma di prospettive, la generazione di una biosfera culturale a sua volta generativa, diversa da quella della seconda edizione di Dismissioni, per la quale parlavo di "estensione ipertestuale"). Come libro si affida ovviamente alla parola, anche qui a diversi livelli. Per osè termine medico, ed è una via a doppio senso, attraverso cui entra la medicina, esce talvolta il male, qualcosa si installa e si espelle. "Per os, - scrive Fabio - per bocca e per la bocca, somministrate siano le parole, le poche che restano". Questa rarefazione delle parole mi pare che rappresenti diverse cose, tutte importanti, che Orecchini vuole far risaltare: la perdita di parole è perdita di potere, anche senza scomodare Foucault, perdita di voce antagonista, delle "parole per dire"; è perdita di voce, progressiva estinzione del fiato, lamento che proviene da sotto macerie reali e simboliche, che si affievolisce e tuttavia non cessa di lanciare il proprio grido di protesta, di rivendicazione di un diritto (alla vita, ad esistere, ad essere identità rilevabile) irrinunciabile; il diradarsi delle parole nel bianco della pagina, rappresentazione grafica, eidetica di questo "resto" di parole, che diventa manifesto politico proprio perché, paradossalmente, questa rarefazione non decade - anche retoricamente - a mero slogan, cioè non si semplifica. Non parla troppo e tuttavia dice molto, come un cieco che non vede ma vede oltre (ilTiresia di Giuliano Mesa che lo stesso Mesa recita nel Livello -2, Sismografie, della installazione). Siamo, in altre parole, nel campo dell'epos degli sconfitti, un epos moderno.
Naturalmente il linguaggio, specie per un esploratore come Fabio, non basta più, anzi tende a somigliare mimeticamente ad altro con cui entra in simbiosi, che sia esso ciò che tenta di descrivere, la maceria, le scorie, oppure i mezzi di espressione comprimari con i quali peraltro è difficile competere, per ovvie differenze di codici. E' un'altra delle ragioni, credo, di questa frantumazione linguistica. Tuttavia queste poche ma buone parole, a volte lacerti, esclamazioni, ma comunque ben pesate, bastano ad articolare un discorso efficiente ed efficace, un testo strutturato in sei sezioni intimamente correlate: Ananke | I due mondi, ovvero l'elemento destinale ma anche la "necessità di riconnettere", come dice Fabio, i frammenti di un dolore profondo siano essi psichici, fisici o mnemonici; de generare | la casa dentro, con un esergo che recita"la verità rende ciechi, la cecità tutto più vero" (che vedremo poi a che rimanda), una visione "esplosa", come si direbbe in termini tecnici, come di interni visti dall'esterno, anche qui fisici e psichici, similmente a case sventrate dal sisma, in cui da fuori si vedono suppellettili, oggetti, intimità; per os | somministrare parole, è "il fuoco di parole che devasta / mentre tutto d'intorno si tace", i perché senza risposta, "il fallimento dell'immortalià / domestica di morire non senza aver pulito" e insieme la parola gettata come una rete di salvataggio, " una vocec'è qualcuno? / che crepa nel muro / crepa"; OO | la memoria della crisi - SS | la crisi della memoria, ove - ipotizzo - si recita il dramma degli equivoci di una memoria che da una parte registra (la crisi, il dolore, la morte ed è - ipotizzo ancora - memoria dei singoli, delle vittime, dei superstiti) e dall'altra è pronta, a-criticamente, a ripercorrere i consueti circoli viziosi o errori ed è la memoria corta collettiva (singoli compresi), istituzionale, è in ultima analisi "[ l'assedio della Storia // sedimenta ] si dimentica"; segue Ifigenia | sequenza mancante, che sembra affrontare l'incomprensibilità, quasi decimatoria, del sacrificio, del caso che uccide i giovani e risparmia i vecchi, come l'anziana signora quasi centenaria di cui raccontano le cronache, che sotto le macerie attende i soccorsi sferruzzando il suo uncinetto e tuttavia, col recupero, avviene una "assunzione" al cielo, una rinascita, una dilazione del tempo (ed è la sezione in cui più la scrittura si dirada, diventa pura fonazione, lamento, annotando qui che il linguaggio continua a rarefarsi, poiché, come giusto, fa le spese del suo emittente, il corpo medesimo, la sua crisi di elemento sempre più periferico del mondo e della natura, perfino quando vittima che non capisce. Il linguaggio allora diventa articolazione, gemito. Magari dovrebbe farsi bestemmia, ma questo è un altro discorso, ci vorrebbe una dimensione del sacro che non ci appartiene più. Del resto, come dice Giuliano Mesa in un esergo, "Non c'è che questo andarsene dal dire"); infine a chiudere la sezione iato | apertura delle ore, che immagino il tempo sospeso, e che pure c'è, tra la fine dell'evento e la ricomposizione di una realtà del "dopo", "tra rimozione e rigenerazione", come fosse la contemplazione immota della polvere che silenziosa si riposa sulle macerie.
Varrebbe la pena di accennare a quanto avviene sul versante installativo, come è possibile vedere al link riportato. Ma credo che sia un'esperienza da fare direttamente, dedicandoci il tempo che ci vuole, immaginando l'installazione come uno spazio da attraversare, dove il percorso è verticale, ma contrario, è un diverso scavo, va verso l'alto (da Livello -2 a Livello 2), verso una uscita, l'aria, il cielo, del corpo, attraverso le barriere fisiche, e della voce, che urta i denti quasi a spezzarli, forse anche della ricerca di una verità non necessariamente raggiungibile, ma sempre necessariamente perseguita. Immaginandola come un luogo fluido, a suo modo sismico - come le sismografie (v. ancora il Livello -2 dell'installazione) di Fabio, "trascrizioni continue, che avvengono in disgrafia autoindotta, su rulli di carta", di alcuni versi sempre di Mesa - ma potente produttore di senso. Immaginandola insomma come un luogo del pensiero, da cui forse proviene il testo, o a cui forse approda. (g. cerrai)


da per os | somministrare parole

a togliere via dai resti le macerie le carni dalle vesti
a togliere via le bocche recuperare i denti
a togliere via le lingue le gole dai tormenti

lasciare intatti gli occhi, intoccate le orecchie
i corpi materia dell'acedia, le zone interdette,
il fuoco di parole che devasta / mentre tutto d'intorno si tace



*


un termitare dolente che freme, compatta palpita la terra

fessura, l'anima negl'occhi l'incavo la cruna tellura

palpebra duole si ritira la bocca l'ossario che resta

una voce                                            c'è qualcuno?

che crepa nel muro

                                                                             crepa





da la memoria della crisi | la crisi della memoria

corpo nell'errore, nel farsi termine, tramite noi, come termite
nel dolore, a fare buchi cavi, valicare travi su travi, come cavia
per tornare ai noi, ai giorni terminali                    e scavi e scavi


*


tre vani devastati abitarne l'habitus il recesso
due vani e mezzo per eccesso il catino verandato
da ristrutturare al più presto, il condono regresso


C'è qualcuno?


Crolla in quiete il cielo defibrilla
demolire il tempo prova a dire
il rumore bianco dell'alba dentro ai monti di Sibilla





da Ifigenia | sequenza mancante

madre a nascondere i polsi, le artriti
dei legamenti, il nodo ritorto dei legami
l'incedere a passi lenti sommovimenti,
il padre a mostrare i denti, i lacerti, incerto
se ridiscendere verso i catrami mostrami
il martirio di pose le forze arrese, i reperti
non per trascinarsi -iridescente- non per non dire
i come ancora i se resti - resisti -
ridere di quanto vissuto per niente


*


di casa in casa, a stanare a far mambassa hanno mannaie
e tubi col gas, per amnesie ordinarie, manuali di rito ortodossi al
martirio di anime hanno l'anima, l'anonimato li preserva
sono abili, abilitati al male pre-ordinato, sono morfine mordono
i polsi le caviglie vene in combustione sono muta di cani
leccano i crani ancora aperti, le ferite dei colpevoli
parti adunche sbavando di sorrisi e suppliche





da iato | apertura delle ore

il vento lascia tracce in dissolvenza, opaco desistere non teme pose

sia pur saturo di resine solventi -assorbono il dolore delle cose

il colore, tundra di getto, espanso tepore negli occhi

dal centro dell'ora e il suo verso, contra tempo l'animale muove il passo


*


per astrazione, per muta dei moti inestinguibili forme, pietrificate estinte, laddove tutto muove in levare,

per estrazione dì forme, remote l'orme pietrificate estinte, inestinguibile moto in levare,

tutto muove verso dove, verso il peso lieve del dolore, deforme, stantio, d'istante mostrami che tutto muore


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