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Loredana Semantica - L'informe amniotico e inediti

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Loredana Semantica - L'informe amniotico - Limina Mentis, 2015Loredana Semantica - L'informe amniotico - Limina Mentis, 2015

L'informe amniotico [appunti numerati e qualche poesia]è un'opera prima, già finalista sia a Opera Prima 2012 (di Poesia 2.0, e già in quell'occasione lo avevo letto, facendo parte del gruppo selezionatore), sia al Lorenzo Montano dello stesso anno. E sinceramente mi fa sorridere il fatto che lo sia, che sia un'opera prima, qualcosa che si accosta mentalmente all'acerbo, al primaticcio, al sorgivo e comunque a qualcosa intrisa di "divenire". Sorrido sapendo bene che in Loredana c'è invece una collaudata coscienza poetica, una esperienza sul campo di anni, una presenza competente molto defilata, per molto tempo celata dietro pseudonimi (e chissà che anche Semantica non lo sia), come quella Alivento con cui aveva animato blog letterari come "Via Delle Belle Donne" o "Tellusfolio", per lo più però con rubriche e note piuttosto che con testi poetici suoi, di cui in fondo è abbastanza parca (diverse tracce e notizie si trovano ancora QUI e QUI), preferendo comunque una pubblicazione "virtuale", che è possibile reperire su ISSUU. Dimostrazione è qundi forse proprio questa sua "opera prima", dimostrazione cioè anche di una riservatezza che non diminuisce la poesia rinchiudendola ma semmai la incastona in una visione personale, intima e raffinata, dove è necessario andarla a cercare,  attraversando l'etere.
Di questo libriccino parlo con ritardo e anche buon ultimo, dato che se ne sono già occupati a suo tempo Stefano Guglielmin (QUI) e Deborah Mega (QUI), ma tant'è. Potrebbe essere quindi una buona scusa per parlare d'altro, per così dire, in maniera ellittica (qua stiamo, infatti).  Loredana è già stata in questo luogo, circa dieci anni fa (v. QUI), con qualche poesia su cui scrissi una nota, seguita - cosa poi divenuta rara in un blog - da un piccolo dibattito ancora utile da leggere. In quella occasione avevo posto l'accento su alcune caratteristiche della sua poesia, di una poesia esistenziale dispiegata su uno scenario "freddo", arricchita da una scrittura "significante", densa di elementi pittorici, fonici, timbrici, ritmici, entro i quali la parola a volte si dissolveva o si guardava allo specchio, con qualche innamoramento. Una scrittura interessante e personale, appunto, in cui l'elemento drammatico, una inquieta e disillusa visione del mondo e della vita, fluttuava in maniera aerea, trovava per così dire un suo ambiente naturale, diveniva permeabile al lettore.
In questo libro l'approccio a tematiche che sostanzialmente non sono cambiate è più strutturato. Se l'idea di fondo è ancora quella di un  magma di difficile solidificazione, di un caos a cui è quasi impossibile e insieme imperativo tentare di dare una forma e un senso, tuttavia ora c'è il tentativo di includerlo in qualcosa di organico, che ci circonda e in qualche modo ci nutre. Se l'indeterminato, il caso, l'accidente, l'incontrollabile fanno parte della nostra vita, possiamo dire allora che sono la nostra vita, o almeno sono il contenitore che ci genera, in cui la vita nasce e si svolge. La ricerca di senso, come una ricerca che si rispetti, avviene à rebours, partendo dalla decostruzione del risultato finale, come una operazione di reverse engineering, fino ad una "foce", quando "si ritorna all'uno, al grembo della madre". Questo "uno" non è solo (o forse non è) un unum  trascendentale a cui tutto si riduce, ma è anche il punto terminale di un conto alla rovescia, di una danza delle ore che parte da una sessantanovesima ("alla sessantanovesima ora deglutì il passato") e va all'indietro (o forse in avanti, chi può dirlo?). Per la verità c'è anche uno "zero", che sembra segnare un "oltre", una rottura dell'amnio verso una realtà destinale, un annullamento in seno alla natura - una maiuscola "Madre nostra" - al pari di tutti gli esseri viventi. Deglutire il passato è azione primaria di questa ricerca, riportarlo ai suoi "nutrienti" essenziali, che sono non necessariamente momenti memorabili, forse più insospettabili, anche minimali, punti su cui si incentra una diversa prospettiva della stessa realtà già vissuta, dispersa in momenti che tuttavia hanno avuto il loro significato, in un "futuro già accaduto", con una "preveggenza esperita a posteriori", come scrive Rosa Pierno in una delle note introduttive. Forse il percorso a ritroso non è un procedimento nuovissimo (penso a illustri poeti francesi come Jacques Dupin, penso dalle nostre parti al "Diario inverso" di Lucianna Argentino - v. QUI), ma qui è sostenuto dal fatto di non essere esaustivo, di non essere "narrante", di lasciare dei cavedi nei quali il senso (del lettore) rimbalza o rimane sospeso, grazie anche ad un sentimento di indeterminazione corroborato dal ricorso ad un vocabolario essenzialmente astratto, che aumenta quella permeabilità di cui parlavo prima, o riferito a una concretezza di oggetti che però sono segnacoli di un quotidiano ripetibile, di una non eccezionalità. Sembra che Loredana registri la sua verità "come se stesse prendendo appunti" (Guglielmin), ed in effetti è così, per ammissione stessa del titolo. Ma a me pare però che la inchiodi sulla pagina (anche con quei punti ricorrenti nel testo, come chiodi cristici, nota Guglielmin, e infatti la croce è spesso nominata), come nell'urgenza di salvare ogni frazione salvabile, con la coscienza - come scrive - che ".non è facile ancorare lo spirito alla terra. la carta al suo pensiero". La tollerabilità del vivere la si misura in questo ancoraggio delle cose (usiamo questo termine generico) alla parola poetica, e viceversa. Inevitabilmente, anche in questo libro dall'andamento prosimetrico, il frammento si ripropone come un canone accreditato, ormai presenza costante della poesia attuale, come simbolo di una realtà ontologicamente inafferrabile se non per schegge di uno specchio infranto, e c'è certo una differenza rispetto alle poesie di dieci anni fa. Se un problema c'è è forse, parlando in generale, quello di un certo "horror pleni", il timore di farlo crescere, quel frammento, fino a farlo diventare (banalmente) magari un testo  poetico per così dire "insostenibile" di fronte alla stessa complessa realtà che dovrebbe descrivere. Viceversa,  gli inediti qui presenti sembrano indicare, anche nelle parti in prosa, una specie di recupero di un discorso più esposto, meno franto, di modalità più distese, più liriche anche, pur nella persistenza dei temi esistenziali, che nemmeno il ricorso al punto fermo, quando c'è, riesce a ridurre a frammento, a scheggia inquieta e baluginante. Non saprei dire se questo sarà il nuovo corso della poesia di Loredana, se il suo conflitto con il tempo navighi verso acque meno agitate. Mi piacerebbe trovare le risposte in qualcosa di più organico, forse la  sua vera opera prima - tutti quei testi dispersi nella rete, alcuni dei quali eccellenti, i vecchi, i nuovi - che è ancora lì da qualche parte, dietro i velabri della sua proverbiale riservatezza. (g. cerrai)


da L'informe amniotico


61
Questa è un'ora senza ora. anche perché non ricordo più. se ce n'è una e quale sia. sessantunesima mi pare. quella in cui renderò grazie. a tutti gli astri della giostra. stelle brillanti. stelle stelline. stellarelle. stelle spente. infinite grazie celesti. per il diletto grazie. il carosello. il vostro lontanissimo luccicare.



58
L'ho sognato alla cinquantottesima ora. tutto preso dalla carte. guardarmi con un'aria strana. lontana ed è la prima volta dopo anni. che mi torna in mente. emerso insieme. al verbo a te più caro. ancora mi domando. perché te ne sei andato. senza insegnarmi al presente. a coniugarlo.



57
Era commosso il petto fino al cuore. per la bellezza del creato. che si spandeva al sole d'agosto. calda e viva di colore. era per la separazione. tra l'ora dell'anima profonda. cinquantasettesima di gelo. e lo splendore circostante. per il peccato dell'indifferenza. quasi come inginocchiarsi. immobile a pregare. che giungesse la grazia. della riconoscenza. come rosa nel buio. l’illuminazione.



54          
Se io scrivo. e poi ti taggo. e poi ti chiedo. e poi gradisco. se commento. e mi spiego e mi piego. nella mia saturata gloria evanescente. e fluttuante mi sazio. di queste vene. di questa carne. di polsi senza sangue. l'incantesimo s'avvera. della cinquantaquattresima replica filmata. la bella addormentata.



51
Ora come ora ho sonno. cinquantunesima di grazia. gli occhi mi si chiudono. penso un giorno sarà. l'ultima volta. ma del momento. non desidero consapevolezza. piuttosto l'assenza di dolore. piuttosto l'ignoranza. la prima per paura. l’altra. perché l'estremo sia della vita. perfetta immagine e somiglianza.



50
E c'è un'ora ancora di silenzio
ed è davanti a te
quando accogli la mia anima imperfetta
è nell'offerta muta dei miei occhi
quando mi consegno
per come sai
senza difese
insieme ai miei cinquanta sbagli
tra le mani vuote
le mie trecento spade.



45
E’ così che si macchiano i pupazzi. sberciando orli di fatica. piatti. arnesi. libri. allora le maglie si scolorano nella lavatrice. assale un puzzo di disordine. e il tempo che rimane. pare perso all'occasione. quarantacinque passi nella vita. quando le strade sono vuote. e lavorare stanca. come Cesare attorno alla domanda. dove sia la donna. che dal vuoto faccia casa.



28
Accade di reggere la croce
come ventotto cardini la porta
di varcare la soglia fino al bosco
dove cresce la parola
ed ogni varietà di fiori
erbe alberi cespugli
il legno inchiodato sulla spalla
a sgravare parti prematuri
come una pena
che la sostieni e soffri
se l'abbandoni pure.

Accade che sia merda
rifiuto scarto spazzatura
che sia un assurdo e una vergogna
che taluno legga ascolti pensi
che a qualcuno possa mai
appena un poco interessare
quella cosa penosa
ridicola noiosa
la summa d'inutilità fatta parola
di uno scritto in versi.



11
E’ così che siamo fatti grandi. di pietra. su cui poggiare i nostri credo. le statue d’intaglio. il bronzo colato. il gesso dei nostri piedistalli. di marmo la forma. i sensi smarriti. la progressiva perdita del sacro. è così che tracciamo undici rotte all'infinito. e navighiamo distanti senza toccarci. guardando in lontananza. la consapevolezza dei nostri disincanti.



4
Un fiocco in testa. l’altro. in disordine sul petto. quattro dita penzolanti e corte. un fiocco modesto. discinto e senza corpo. che a nulla valeva inamidarlo. appuntarvi le medaglie i premi vinti ottimi voti. ugualmente non reggeva il confronto. con quello degli altri. sempre perfetto per forma e per colore.



2
Nacque e fu un errore. di sesso femminile. avrebbe dovuto avere un genere diverso. l’altro dei due possibilmente. sempre che poi. non ne esista un terzo. né carne né pesce. degli idonei ad essere. personaggi per sempre. alla ricerca di se stessi.



Inediti


Oggi mi chiedevo

Oggi mi chiedevo perché fosti pane
e fosti poi vino e poi corpo e anche sangue
perché nell’uva e nel grano
ostia bianca e farina
nel torchio e palmento
nell’albero e terra e frumento
nel calice fiasco o nei tini
come una proporzione
equivalenza rimando ed assioma
tra spirito e carne
tra uomo e divino
nel crisma che mutua
la forma trascende
in divina natura.




Viene come viene

Viene come viene il vento
mordendo l’alba
e nella bocca la faccia
che s’incastra che s’accavalla
l’aria è tutto un turbinio di carne
sfatta
rosso fuoco e polpa
cento poesie fantastiche
e una sconfitta
la prima e l’ultima
da ricordare
darsi alla luce e poi crepare.
Volevamo essere eterni
e siamo invece solo noi
solo mortali.




È solo un fatto d'occhi

È solo un fatto d'occhi
 guardare le cose
 sopra ogni cosa
 volando ai monti
 disperando d'ali l'orizzonte.

 Ci sono vette altissime
 che solo può l'inesistenza
 è per questo il dissenso
 il dialogo coi cari
 il completamento automatico
 dei termini usuali
 l'ustione tautologica deviata
 dai sentimenti.

 Sparire in obliquo è solo
 guardare le cose
 da un altro lato.




davvero qualcuno pensa d'essere così necessario. c'è tutta un'anfora di veleno. una bocca che larga stride. non basterebbero duecento lune. liquidi mogli pastiglie. calmanti a iosa della carne. un osso grosso da mordere è la sua pena. veglio la compassione della virgola. restiamo poveri stamani. distanti quasi spellati. di tutto resta un po' di cenere. un mucchio di nulla. il pugno in piena faccia della brina.




lui veramente credeva d'essere un finto poeta. lo fingeva così perfettamente da vivere nell'invisibile. godeva di un piacere inesistente. sazio e completo nel fremito del nulla. produceva filigrana filando bava come seta. quando lo prese l'illusione tremarono le foglie. qualcuna si staccò dal ramo cadde lo raccolse. abbracciandolo con la nervatura. s'intravedeva nella trasparenza un braccio una gamba. un ciuffo di capelli che sfuggiva dal rotolo. come un cespuglio di asparagina.




Io scrivo di bocca

Io scrivo di bocca
 un'arpa eolica
 i filamenti della luna
 scrivo l'intenso verde d'oltremare
 dove c'è il fondo scoglio
 la risacca schiuma che ribolle
 lo sbattito dell'onda
 un altro scoglio a oriente
 l'alba rilucente.

 La costa appare sporgendosi
 appena oltre le ciglia
 un arco a incavare la Sicilia
 un suo frammento d'ossa dove
 in quest'estate di lapislazzuli
 col solstizio e l'inizio
 si snoda ciclabile e bianca
 la pista sterrata nella roccia
 l'ora puntuale che ritaglia
 i nostri passi dispari.




Sicuramente era estate

 Sicuramente era estate
 quando scrissi
 che i cieli si chiudevano
 erano come porte
 sprangate nel clangore
 una dopo l'altra nel buio serrate
 di ferro lucchetto e chiavistello
 infinite scorrevoli catene
 come d'argano di ponte levatoio
 ma non era una fiaba
 e nei dintorni tra le dune
 nel deserto e per chilometri
 e chilometri non un arciere
 non un'anima
 nemmeno l'ombra di un cavaliere.

 Ora schizzavo inchiostro
 ora scrivevo mano seppia vecchi
 e nel frinire di cicale
 il refrain di un 'arsura
 la terra che si spacca arida
 metafora e metafisica
 del finire.



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